Mastodontico dramma in costume per Ridley Scott, che con The Last Duel (presentato a Venezia 78, fuori concorso) ci catapulta direttamente nelle corti di un medioevo francese fatto di lealtà, battaglie, onore e lotte all’ultimo sangue. Jean de Carrouges e Jacques Le Gris sono amici da una vita, hanno combattuto battaglie insieme e si sono reciprocamente salvati la vita. Quando Jacques inizia a stringere amicizia col perfido luogotenente di re Carlo VI, i rapporti tra i due iniziano a cambiare: è l’inizio di una rivalità che sfocerà in un vero e proprio duello all’ultimo sangue quando Marguerite, moglie di Jean, accuserà Le Gris di averla violentata.
Tratto dal romanzo storico L’ultimo duello di Eric Jager, il film del regista inglese racconta la stessa storia di violenza in tre atti e secondo la prospettiva dei tre diversi personaggi protagonisti: il primo a narrare tutta la vicenda è proprio Jean, scudiero al verde, uomo rozzo ma leale, perfettamente a suo agio con lo sporco e la fatica causati dal lavoro nei campi e dalle battaglie. Alla sua versione si contrappone quella di Le Gris: sveglio, colto e brutale arrampicatore sociale amante delle belle donne. Infine la storia di Marguerite, donna raffinata e intraprendente, moglie di Jean e vittima della violenza.
In questo caleidoscopio di racconti ciò che varia non sono tanto i fatti narrati, quanto la percezione che ciascun protagonista ha di quei fatti: una violenza (e forse più di una) c’è stata. L’intera ricostruzione storica mira allora a far emergere come quel fatto brutale sia anticipato, circondato e forse incoraggiato da un intero contesto che è proiezione del maschile, delle sue necessità e delle sue regole. Una mascolinità che nelle sue diverse forme è pur sempre tossica, ma anche pur sempre derivante da un background medievale ormai esauritosi: così la sceneggiatura si sforza di adattare dialoghi, sensibilità e percezioni contemporanee ad atmosfere antiche, dandoci l’impressione di voler trasportare la causa del #MeToo in un 1400 che considerava la donna poco più che un orpello al servizio della casata di appartenenza.
Nonostante l’anacronismo dell’intera operazione il film di Scott si regge comunque su un ritmo narrativo capace di intrattenere per ben 152 minuti, complice anche l’enorme sforzo nella ricostruzione storica e l’appassionante racconto della vicenda giudiziaria, con tanto di attenta documentazione sulla giurisprudenza medievale. Eccellenti, come al solito, le interpretazioni di Matt Damon, Jodie Comer e dell’ormai onnipresente Adam Driver nei panni dei tre protagonisti.
Letizia Cilea
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