Un giovane, impegnato nella Desert Storm del Golfo Persico nel 1991, viene ferito gravemente alla testa da un colpo d’arma da fuoco. Dopo il congedo dall’esercito si ritroverà coinvolto in un omicidio, e per questo internato in un ospedale psichiatrico, dove un medico-Mengele (un brillante e torbido Kris Kristofferson) tenterà di guarirlo riempiendolo di farmaci e chiudendolo in un cassettone simile a un loculo funebre. Tra angoscia e sofferenze e in mezzo a visioni allucinate ma vere, troverà il modo di cambiare il futuro grazie all’amore per una ragazza. Non è deludente il film di John Maybury, interpretato dai bravi Adrien Brody e Keira Knightley, perché riesce a mantenere un bell’equilibrio tra una sceneggiatura ben scritta (anche se alla fine rimane comunque qualche dubbio) e una messa in scena originale e pregevole dal punto di vista tecnico. Se da una parte il film è in grado di comunicare allo spettatore alcune riflessioni per nulla banali sull’importanza di non rinunciare mai all’idea di cambiare la vita in meglio (belle le parole della lettera che il protagonista scrive alla fine del film), sul ruolo fondamentale e imprescindibile dell’amore nella vita di ognuno (il motore della storia è Jackie-Keira Knightley, che solo per il fatto di “esserci” spinge il protagonista a trovare la verità e a cambiare le cose) e sul raggiungimento della felicità attraverso la sofferenza (il protagonista, per amare, deve necessariamente passare per la tortura), dall’altra “incanta” per alcune scelte registiche azzeccate: la fotografia gelida nelle scene all’interno dell’ospedale (prevalgono il grigio, il bianco e il nero) che si contrappone ai colori più vivaci presenti nelle “incursioni” nel futuro del protagonista, il montaggio serrato e veloce nei “viaggi” all’interno del cassettone (dove alcuni fotogrammi durano soltanto per un secondo, come veri e propri flash di una macchina fotografica) e le ottime musiche di Brian Eno, melodiche e avvolgenti, tra le quali spicca la celebre “We have all the time in the world” di Louis Armstrong. Resta qualche perplessità sul meccanismo narrativo della sceneggiatura: è vero che la storia rimane credibile e solida, ma va anche detto che alcune situazioni appaiono troppo forzate e alla fine, come si diceva prima, si esce dal cinema con qualche dubbio (come sono andate davvero le cose? Quante volte è “morto” il protagonista?). Il film dice cose interessanti e le sa anche spiegare, ma se avesse spiegato un po’ di più il risultato avrebbe potuto essere ancora più soddisfacente. Un film comunque interessante, che conferma due attori sempre più bravi (senza dimenticare Jennifer Jason Leigh, qui in un ruolo secondario ma intenso) e che, complessivamente, è superiore alla media dei tanti thriller anonimi che ultimamente riempiono le sale.,Francesco Tremolada,

The Jacket
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