Film strano, a due registri. C’è il registro drammatico, di denuncia civile, già visto in parecchi film del genere, anche nei recenti “Redacted” e “Rendition”, dove le colpe sembrano cadere sulle spalle dei soliti noti (la Cia – sai che novità – ma anche l’Onu, sono responsabili della fuga dei criminali di guerra serbi). In questo caso, il protagonista, un invecchiato Richard Gere, è il tipico personaggio di un film del genere: reporter smaliziato, entra in crisi di coscienza dopo aver assistito all’ennesimo eccidio e molla tutto, in diretta televisiva. Tutto già visto: le immagini di repertorio, lo scatto giustizialista, la crisi di coscienza, con la differenza che una volta al Bronson de “Il giustiziere della notte” certe cose non gliele facevano passare, e invece a Gere, Simon Hunt nel film, si concede quasi tutto, persino un’esecuzione pubblica. Un film non confezionato male, ma a cui manca assolutamente il contesto storico, per quanto Shephard faccia bene a girare il film sui luoghi della guerra; il ritmo, specie nello scioglimento della vicenda, è carente e la verosimiglianza, fondamentale in un film che si vuole ispirato a fatti reali, spesso è molto distante dalla realtà. Da qui la più macroscopica delle incongruenze: come avrebbe potuto lavorare il giornalista di lingua inglese per le tv polacche e sudamericane? Bene il cast, tra cui spicca il bravo Terrence Howard e tutto sommato anche Gere, che ha fatto di peggio. Lascia perplessi invece il secondo registro del film, tra lo scanzonato e il cinico, a partire dalla didascalia iniziale (“Solo i particolari più assurdi di questa vicenda sono veri”), fino alla beffarda e disumana conclusione.,Simone Fortunato

The Hunting Party
Un reporter americano torna in Bosnia, alla fine del conflitto con la Serbia, per ricercare un temibile criminale di guerra ancora in libertà chiamato la Volpe.