In genere Michael Keaton non interpreta personaggi istintivamente simpatici (magari comici, come in Beetlejuice, impegnati come ne Il caso Spotlight, tormentati come in Birdman), ma questa volta supera decisamente se stesso nell’impersonare una brillante quanto sgradevole icona del capitalismo americano, un uomo tutto sorrisi e pacche sulle spalle, che mentre ti stringe la mano ha già trovato il modo di fregarti anche le scarpe. Nel film di John Lee Hancock (già regista di The Blind Side e di Saving Mr. Banks) Ray Kroc negli anni 50 gira i drive-in del sud degli Stati Uniti cercando di vendere mixer per i frappé. Non ha un gran successo, sta diventando calvo, si comporta freddamente con la moglie, ma ha una certezza datagli dalle lezioni imprenditoriali di una collana di dischi che ascolta fedelmente: quel che conta per avere successo non è il genio, l’intelligenza o l’istruzione, ma la determinazione. Una dote che a Kroc non manca, specie quando fa l’incontro della vita: il fast food dei fratelli Mac e Dick McDonald. Stanchi dei drive-in dove le ordinazioni ci mettono troppo ad arrivare e spesso sono sbagliate, i due fratelli hanno messo a punto un chiosco che vende solo quattro cose: hamburger, patatine fritte, frappé e bevande. Tutto in un sacchetto subito pronto, dal prezzo contenuto e che ci si può portare in auto o a casa. Kroc intuisce la potenzialità della formula e propone ai fratelli di gestire il franchising dei futuri locali di quella che è destinata a diventare una catena a livello nazionale. Ma i MacDonald e Kroc dimostrano da subito di avere visioni commerciali molto differenti: più orientati alla qualità i primi, più bramoso di fare soldi il secondo, che ben presto comincia a muoversi sempre con maggiore autonomia, scavalcando i fratelli anche con decisioni discutibili (come fare i frappé con le polverine invece che con latte e gelato).
La spudoratezza di Kroc, negli affari come nella vita privata, interroga lo spettatore, lasciando aperte alcune questioni cruciali: è veramente Kroc il responsabile del successo di una catena di piccoli fast-food di cui si vanta di essere il fondatore, che ogni giorno vende pasti a quasi un quinto della popolazione mondiale? Erano veramente sue le abilità nel branding e nella standardizzazione delle concessioni immobiliari (vera formula del successo) o del suo direttore finanziario Harry Sonnenbon, arrivato proprio nel momento in cui Kroc stava per gettare la spugna? Se ancora non sono chiari i motivi per i quali Kroc è arrivato a un successo così mastodontico, di certo l’interpretazione di Keaton aiuta moltissimo nella definizione del personaggio: un uomo totalmente dominato dalla smania di successo, che mano a mano che cresce tratta i suoi soci con sempre maggior arroganza, accusandoli di essere troppo corretti per riuscire ad affermarsi in un ambiente dove, per sua definizione, “cane mangia cane, anzi: ratto mangia ratto”.
Se l’interpretazione di Keaton è magniloquente, spiace un po’ il vedere come gli altri personaggi siano confinati in ruoli evanescenti; da Dick McDonald (Offerman) le cui scene si riducono per la maggior parte a discussioni telefoniche, a Laura Dern, prima moglie costantemente nell’ombra, a Linda Cardellini, il cui ruolo di seconda moglie con idee di marketing viene solo accennato. Quel che impressiona comunque è la storia: quella di un potenziale perdente che a furia di bugie, imbrogli e facendo leva su un patriottismo da quattro soldi, ha creato un mito contemporaneo presente in tutti i continenti. Alla faccia della qualità propugnata dai due primi titolari del marchio, tristemente espropriati anche del loro cognome.
Beppe Musicco