Due pareri per il controverso film di Bernardo Bertolucci.
UN PARERE A FAVORE…
Parigi, 1968: la cinefilia è l’occasione dell’incontro tra uno studente universitario americano, Mattew, e due francesi, Paul e Isabelle, fratello e sorella, figli di un poeta. Inizia la contestazione, ma i tre protagonisti vivono per un mese praticamente chiusi nell’appartamento dei genitori parigini, che nel frattempo sono andati in campagna. È l’inizio di una storia a tre, a partire dal rapporto incestuoso che lega fratello e sorella, una sorta di “Gruppo di famiglia in un interno”. Alla fine la realtà risucchia i protagonisti nel sociale, con esiti (forse) drammatici.
La trama non rende giustizia al film. Bertolucci è un “maestro”; si tratta di una rivisitazione originale del Sessantotto a partire dal privato esistenziale, lontana dagli stereotipi e dalla sociologia a buon mercato. Un grande e appassionato omaggio al cinema, risorsa dell’immaginario in grado di surrogare l’incapacità di un rapporto concreto con il mondo. L’americano Matthew è affascinato e inorridito dal rapporto morboso fratello-sorella. Eros, morte, feticismi, le difficoltà del “mestiere di vivere”, l’amore per il cinema, la voglia di cambiare il mondo, la scoperta del corpo, si accavallano tra musiche accattivanti dei Doors e di Jimi Hendrix . Tra Ultimo tango a Parigi, La luna, Io ballo da sola, Bertolucci da sempre è ossessionato dai desideri carnali, dalle ossessioni edipiche e dalle sirene dell’estetismo . È la sua forza e il suo limite.
Sul piano etico, alcune sequenze potevano anche rimanere “fuori campo”, il film non avrebbe perso niente sul piano “autoriale”. Dopo L’assedio, anche The Dreamers segna la progressiva discesa di Bertolucci nel “privato”, sempre più vicino a Bergman e a Visconti.
Claudio Villa
E UNO CONTRO…
La trama, che si ispira a un raccconto di Gilbert Adair, è nota. Alla vigilia del Maggio ’68 e della celebre contestazione, due ragazzi francesi – fratello e sorella, uniti da un legame morboso – attirano un coetaneo americano nella grande casa lasciata vuota dai genitori. Saranno giorni di scoperta del sesso, di caduta di ogni inibizione, di ricerca di libertà e di cinema visto, “parlato”, sognato, adorato fino al fanatismo. E quando scoppierà la contestazione, si divideranno tra chi è disposto anche a tollerare la violenza e chi, profeticamente, rimane “puro”, pacifico, non violento, già prevedendo le future tragedie.
Il classico film che divide. Chi lo considera un grande omaggio al Cinema (rappresentato invece come passione fanatica, che si sostituisce alla vita e non aiuta a comprenderla) e un appassionato inno alla giovinezza, al Sessantotto e alla voglia di libertà che tale epoca avrebbe portato in Occidente, e chi – come chi scrive – lo liquida come un modesto ed estenuato episodio di un maestro tanto eccelso tecnicamente quanto, spesso, vuoto di contenuti, che torna nell’appartamento di Ultimo tango a Parigi ma risulta noioso e insopportabile come non mai. Perché The Dreamers è solo la vuota, e ovviamente trendy, esaltazione nostalgica del Sessantotto come mito inattaccabile (il regista lo ha ammesso: il suo fine era salvare quell’epoca dai detrattori “reazionari”), come Utopia e Sogno (“la fantasia al potere”) per cambiare il mondo. E i tre ragazzi che non escono da quell’appartamento di sesso malato e di troppe parole, sono sì svegliati a forza dalla realtà che entra con un sasso nella casa, ma sembrano arrivare troppo tardi a quegli eventi, cui si gettano con entusiasmo inspiegabile. Infatti, non è la Ragione il metro cui avvicinarsi al ’68, ma una Fede laica e piena di quei dogmi che Bertolucci e compagni volevano a parole abbattere. Un ’68 che – se li si lasciava fare – avrebbe davvero cambiato il mondo. E invece hanno vinto “gli altri”, i poliziotti, il Potere…
Alcune scene sono, più che gratuite, a dir poco disgustose. Due le “vette”: la masturbazione del ragazzo francese sul poster di Marlene Dietrich, come punizione impartita dalla sorella per un quiz cinefilo sbagliato, e la deflorazione della ragazza da parte del giovane americano, per lo stesso “nobile” motivo. Non mancano un paio di spunti interessanti, come la figura dei due genitori, educatori falliti, che scoprono sbigottiti i tre ragazzi avvinghiati nudi tra loro e non sanno far altro che lasciarli dormire, dopo aver staccato e firmato l’ennesimo assegno; e l’epilogo che – pur col facilissimo senno di poi – ammette sinceramente come da quel ’68 tanto esaltato sia scaturita la futura violenza.
E allora, ci si chiede, perché tanta esaltazione? Per quel grido buono di libertà che ne era contenuto al fondo? Sarebbe stata una bellissima idea, ma non era Bertolucci l’“artista” che poteva realizzarla. Se voleva essere un film per spiegare ai giovani cos’è stata, nel bene e nel male, quell’epoca storica, il risultato è disastroso. Se il regista di Prima della rivoluzione voleva invece “rivelarci” che la libertà nasce con la rivoluzione sessuale, la tesi (ridicola) si smonta da sola. Ma ecco l’autore parmense aprirci gli occhi con le sue stesse parole: «Non credo sia un caso che Marco (Bellocchio) e io, e in un certo senso anche Marco Tullio Giordana con La meglio gioventù, abbiamo fatto nello stesso momento film ambientati in quel periodo. C’è un bisogno di rileggere quei momenti e di trasmetterli. Per me è stato un modo di fare un esame di coscienza personale, ma c’è anche una nostalgia del presente dei ragazzi di oggi, che non sanno niente e dalla vita non hanno grandi aspettative. Noi, invece, andavamo a letto la sera sapendo che ci saremmo svegliati nel futuro». I ragazzi di oggi non hanno grandi aspettative (ah sì?): “loro” invece, erano la meglio gioventù.
Antonio Autieri