Non potrebbero essere più diversi Paul e Stan: il primo è un professore di storia, negativo e afflitto da disturbi e ossessioni; il secondo è un politico affascinante e di successo. Si devono trovare a cena, con le rispettive mogli: Claire è la fedele compagna di Paul, il suo sostegno e la sua forza; Katelyn è la “nuova” moglie del politico, dopo un’unione naufragata. La cena tarda a cominciare per il ritardo di Stan, in piena campagna elettorale: poi il deputato arriva, sorride a mezzo ristorante, stringe mani, appare sempre più sicuro di sé davanti al fratello che lo detesta. La cena, che si svolge in un ristorante di lusso, si dipana mettendo sulla tavola non solo portate prelibate, ma anche questioni famigliari irrisolte, rancori e tensioni; non solo tra i fratelli (la nuova compagna vorrebbe un figlio, ma Stan si sente vecchio per diventare di nuovo genitore). Mentre una serie di flashback illumina sul passato dei personaggi. Ma il vero motivo del ritrovo, lentamente emerge: un fatto grave, in cui sono coinvolti i rispettivi figli adolescenti. Cosa decidere, sapendo che ne va del loro futuro? Non è meglio cercare di dimenticare e dare loro una seconda chance?

Quella diretta da Oren Moverman è la terza versione cinematografica del romanzo Het Diner (in Italia La cena) dello scrittore olandese Herman Koch, pubblicato nel 2009: dopo Het Diner del connazionale Menno Meyjes (2013) seguì un adattamento italiano diretto da Ivano De Matteo, I nostri ragazzi (2014) con un quartetto di ottimi attori: Alessandro Gassmann e Luigi Lo Cascio erano i due fratelli, Barbora Bobulova e Giovanna Mezzogiorno le due consorti. Ora la versione americana, con un altro ottimo quartetto su cui spicca una vera star come Richard Gere, nei panni del politico rampante. Ma sono notevoli anche Steve Coogan (Philomena), la sempre brava Laura Linney (pur in un ruolo che ricorda altre sue performance) e Rebecca Hall. Gli attori sono una delle cose migliori del film, capaci di dare calore e nerbo a personaggi di per sé non troppo definiti; e di dare credibilità a singole scene “madri”. Molto intrigante anche la presentazione dei piatti e la scansione della storia/cena in capitoli: dall’aperitivo al dessert. A parte i flashback (in alcuni dei quali si vede anche Chloë Sevigny, nei panni di una precedente moglie di Stan), quasi tutta la vicenda ha dunque il ristorante come unico luogo d’azione: quasi una variante dei vari Carnage, A cena tra amici e simili.

Ma ovviamente c’è anche il “tema”, ripreso ovviamente dal romanzo: di fronte a un delitto o una bravata (a seconda di come i genitori lo considerino) dei figli, come reagire? Fino a che punto si può “rischiare” il futuro proprio e dei figli stessi? Soprattutto, sia il romanzo che i film che ne sono stati tratti sono congegnati in modo da rivolgere un’altra domanda, sottintesa, al lettore/spettatore: e tu, cosa faresti al posto loro?

La versione americana, di suo, aggiunge la coloritura politica e storica: il professore è ossessionato dalla guerra civile americana della seconda metà dell’Ottocento e in particolare dal massacro della battaglia di Gettysburg del 1863, il politico è nel vortice di una campagna e deve valutare anche le conseguenze delle sue scelte sulla sua carriera lanciata in modo inesorabile verso gli incarichi più prestigiosi. In questo modo Moverman – regista israeliano ormai trasferitosi da tempo negli Usa (di recente è uscito in Italia anche il suo Gli invisibili, sempre con Richard Gere) – allarga la riflessione alla violenza insita nella società americana, quasi una sorta di peccato originale laico, ma introduce un tema un po’ sviante, ovvero i disturbi psichici del professore. Tutti aspetti che tendono a depotenziare non solo i dilemmi etici e morali della storia ma anche la sua tenuta narrativa. E se l’episodio criminoso e il volto del ragazzino maggiormente colpevole sono abbastanza inquietanti, il tutto si spegne con un finale brusco e troppo sospeso ed enigmatico, dopo aver messo – ci si perdoni la metafora culinaria, peraltro in tema – troppa carne al fuoco. E se aveva un finale molto brusco anche I nostri ragazzi, il film di De Matteo aveva però un epilogo netto e riconoscibile. Ma non è solo per questo motivo che delle tre versioni, quella italiana è nettamente la migliore.

Antonio Autieri