In un potenziale futuro distopico il mondo si trova a corto di energia per produrre ciò che necessita alla sopravvivenza dell’uomo; così, alla vigilia di un probabile conflitto mondiale, un gruppo di scienziati provenienti da tutto il mondo viene spedito su un‘astronave nello spazio per eseguire una serie di esperimenti con un acceleratore di particelle: nel migliore dei casi quest’ultimo sarebbe in grado di produrre un nucleo di energia talmente potente da poter soddisfare il fabbisogno dell’intero pianeta. Ma qualcosa va storto e l’equipaggio si ritrova bloccato nello spazio, mentre strani eventi e inquietanti presenze ingombrano la navicella.
Sono passati ormai 10 anni dal primo capitolo di Cloverfiled, che nella mente di J.J. Abrams era stato pensato sin da subito come un universo narrativo potenzialmente espandibile all’infinito. Se infatti il film del 2008 era un horror che tramite una videocamera amatoriale raccontava un’improvvisa invasione aliena, e il secondo un ottimo thriller claustrofobico ad alta tensione, questo terzo capitolo si aggira dalle parti di un survival movie di fantascienza pura.
La scelta del regista di Cloverfield Paradox è stata dunque quella di far venir meno l’originalità delle atmosfere passate per sposare in pieno lo schematismo del genere fantascientifico. Questo orientamento non sarebbe di norma garanzia di fallimento, vista la gran quantità di pellicole che con tale impronta hanno dato vita a nuove, appassionati soluzioni narrative. Eppure l’opera di Julius Onah non sempre riesce a compiere la magia, e anzi spesso si ritrova inevitabilmente incagliata in situazioni già viste in quegli stessi film che hanno creato il canone del genere: impossibile non ritrovare, tra i tanti, anche il famosissimo Alien in molte sequenze centrali per le svolte narrative del film.
Lo scopo dell’intera produzione è evidentemente quello di trovare una giustificazione plausibile agli eventi catastrofici che abbiamo già visto in atto nelle altre due pellicole. Lo fa come prequel, e si gioca tutto nell’idea dell’apertura di un paradosso spazio-temporale causato da un esperimento fallito, che giustificherebbe le assurdità a cui i protagonisti vanno in contro. Per la prima metà il film si rende godibilissimo tramite una tensione misurata, tanto nelle situazioni costruite sull’astronave quanto sulla terra, dominate dall’incertezza e dalla paura del fallimento dell’intera razza umana; ma dopo che l’errore umano ha scatenato il caos, il film perde completamente la bussola e si compiace, per un numero imprecisato di scene, dell’espediente del paradosso spazio-temporale: sfruttando questa chiave si creano situazioni completamente implausibili anche per un universo del genere, e molte sequenze finiscono per scadere nell’assurdo e nel trash. Poco male, perché gli sceneggiatori cercano di mettere una toppa a queste follie con un tocco di ironia che riequilibra in qualche modo il film. Nonostante ciò, da un certo punto in poi è proprio la trama a perdere di verve, e le situazioni si richiudono nella ripetitività smarrendo completamente il punto della narrazione; la situazione precipita al punto tale che i paradossi spazio-temporali smettono di verificarsi senza una ragione; i personaggi tentano di recuperare il proprio obiettivo, ma annaspano tra l’esplorazione del passato di alcuni di loro e la convenzionale dinamica del “ne rimarrà uno solo”, che ormai troppe volte abbiamo visto in film del genere.
Di fatto la pellicola svolge bene il suo compitino di aggiungere un’altra importante parte del puzzle dell’universo Cloverfield, ma si qualifica di gran lunga come il peggiore della serie. Trattata come opera autonoma dall’universo narrativo che la origina, è un prodotto che non riesce mai a trovare il suo posto: risultando infatti interessante per qualche divertente passaggio ben costruito, si rivela per il resto modesto e poco coerente tanto nei suoi sviluppi quanto in un finale che, prevedibilissimo, vuole lasciare accesa la curiosità di uno spettatore che oramai conosce il ritornello a menadito.
Maria Letizia CIlea