Interpretato con una intensità degna di una nomination all’Oscar da Charlize Theron, il film apre sulla protagonista, che lavora in un ristorante sulla costa del Pacifico. Nonostante ostenti professionalità sul posto di lavoro, Sylvia, questo il suo nome, manifesta tutto il suo odio per se stessa: va a letto col primo che glielo chiede, si procura ferite, cammina senza meta con lo sguardo perso. La scena cambia: da qualche parte ai confini col Messico, due famiglie partecipano a due distinti funerali. Una piange il capofamiglia, l’immigrato Nick, l’altra famiglia la moglie e madre, Gina (Kim Basinger). Nick e Gina avevano una relazione clandestina e il camper dove si incontravano nel deserto è bruciato, uccidendoli insieme. Mariana, figlia di Gina, e Santiago, figlio di Nick, si incontrano di nascosto dalle loro famiglie, per capire cosa sia successo ai rispettivi genitori. Nel terzo quadro una ragazzina messicana, Maria, guarda il padre che dall’aereo sta spargendo fertilizzante su un campo. L’aereo cade e dal letto d’ospedale l’uomo ricoverato con gravi ferite, Santiago, chiede a un amico e alla figlia di andare negli Stati Uniti a svolgere una missione. Le tre storie lentamente convergono, in un crescendo drammatico, ma sensato e svolto con eleganza narrativa, fino a un finale nel quale i protagonisti cercano di rimettere insieme i pezzi di un puzzle rimasti staccati per troppo tempo.
Arriaga è regista e sceneggiatore (per il connazionale Alejandro Inarritu aveva scritto Amores Perros, 21 grammi e Babel). Meno coinvolgente di 21 grammi, ma anche meno compiaciuto di Babel, con il suo gioco di incastri, The Burning Plain soprattutto si distingue per le capacità degli attori (l’allora giovanissima Jennifer Lawrence fu scoperta con questo film, che le valse a Venezia il premio Marcello Mastroianni come miglior interprete emergente) e la risonanza umana dei personaggi, che dopo avvenimenti dolorosi che li hanno profondamente segnati sono capaci di lasciarsi interrogare per ricominciare.
Beppe Musicco