The Birth of a Nation – Il risveglio di un popolo è l’opera prima dell’attore Nate Parker. La storia inizia nella Virginia schiavista di inizio ‘800 quando il piccolo schiavo Nat – che agli occhi dei vecchi della sua comunità è un predestinato al comando – grazie alla benevola intercessione della sua padrona inizia a leggere la Bibbia (e solo la Bibbia). Fatto di per sé straordinario visto che agli schiavi era negata l’istruzione. Grazie alla sua conoscenza del testo Sacro, che Nat impara praticamente a memoria, il giovane diventa il predicatore degli schiavi della piantagione in cui lavora. È un uomo mite e saggio che può contare su un padrone, Sam (Armie Hammer) con cui giocava da ragazzino, che lo rispetta e che tratta in modo “umano” i suoi schiavi (tranne quando è ubriaco). Però, l’inizio del secolo è il periodo in cui in alcune piantagioni cominciano i primi segni di insofferenza degli schiavi. Ecco, quindi, che il pastore Nat può diventare utile ai bianchi. Insieme a Sam viene inviato nelle piantagioni limitrofe a predicare, secondo le Scritture, la sottomissione ai padroni. Durante questi giri, però, Nat prende ulteriore consapevolezza dello stato di schiavitù dei suoi fratelli, spesso brutalizzati da uomini senza scrupoli. Ecco, quindi, che in lui si accende il desiderio di ribellione, sostenuto da quei passi della Bibbia in cui si proclamano vendetta e giustizia.

Quello raccontato da Parker è ispirato a un episodio realmente accaduto: la ribellione guidata dallo schiavo Nat, che per 48 ore mise in subbuglio alcune piantagioni del Sud e che finì in un’inevitabile carneficina. Nate Parker ha realizzato sicuramente un film coraggioso il cui elemento di originalità è proprio nella figura del protagonista, da lui stesso interpretato, e nell’utilizzo che fa delle Sacre Scritture che possono essere utilizzate e interpretate in modi diametralmente opposti: per la pace o per la sanguinosa delle guerre (tema di grande attualità). Più convincente, a nostro avviso, la prima parte, quella della formazione di Nat e dei suoi insegnamenti agli schiavi della piantagione e della sua presa di coscienza; mentre la parte finale è un omaggio alla tradizione dei duelli finali e delle carneficine dei film western. Vedendo il film non può non venire in mente 12 anni schiavo, film comunque superiore per sceneggiatura e realizzazione al lavoro di Parker che, però, ha avuto il merito di raccontare un episodio della storia americana sconosciuto e la figura inedita di questo schiavo-ribelle. Il suo era un sogno velleitario e folle: Nat perde il controllo della situazione e sembra quasi posseduto da un delirio di onnipotenza, ma quello che ci vuol dire Parker è che anche da gesti come questo che il popolo di colore ha preso coscienza di sé e dei propri diritti. E la scena in cui idealmente il testimone del suo gesto passa a un altro giovane nero, ne è l’emblema.

Stefano Radice