In un film normale Nick Naylor sarebbe il naturale antagonista dell’eroe; in un film normale le multinazionali che con orgoglio Nick si vanta di difendere sarebbero i Golia contro cui si batte il coraggioso Davide difensore dei cittadini. Ma quello di Jason Reitman (apparentemente) non è un film educativo: il protagonista fa parte di un gruppo che si autodefinisce Mercanti di Morte e di nascosto compra (con successo) l’uomo Marlboro perché accetti di tacere sul cancro ai polmoni che lo sta uccidendo.,Il successo del film di Jason Reitman (che ha poi confermato il suo talento anticonformista con Juno e con il recente Up in the air, in Italia Tra le nuvole, che a questo esordio si apparenta strettamente), è paragonabile, in una terra d’incubo per fumatori quale sono diventati gli Stati Uniti, a un inno al capitalismo nella Russia comunista.,Il protagonista Nick Naylor (con la faccia da schiaffi di Aaron Eckhart) ha la parlantina di un venditore e il talento di un vero self made man (non a caso dichiara apertamente di non avere alcun titolo di studio) e molto assomiglia al George Clooney tagliatore di teste con la passione per i voli in prima classe di Tra le nuvole.,La parabola di questo antieroe tabagista segue in modo paradossale e ironico quella di molti protagonisti dei grandi film della tradizione civile americana (il successo e poi la caduta) e, come questi, si conclude nell’aula di una commissione parlamentare in stile Frank Capra. E non è un caso che, mentre si consuma il confronto su un teschio da apporre ai pacchetti di sigarette, il figlioletto di Nick vada a discutere davanti ai compagni di classe perché l’America abbia il miglior governo del mondo.,L’ironia con cui il film presenta non solo lo spregiudicato protagonista (capace di usare a suo favore un giovane malato terminale ma anche di cedere ingenuamente di fronte alle grazie di una giornalista venuta da chissà dove), ma anche i sostenitori di posizioni moralmente ben più difendibili, sembrerebbe procedere nella direzione di un allegro nichilismo.,Tuttavia, la pessima figura che fanno gli ambigui sostenitori di crociate moraliste (che siano contro il tabacco o contro l’alcool) e la sfacciata ilarità con cui Nick e soci difendono lobby e multinazionali indirettamente responsabili della morte di migliaia di persone (agghiacciante e sublime la scena in cui Nick sfida gli amici per attribuirsi il maggior numero di morti al giorno) non può essere semplicemente scambiata per indifferenza morale.,La domanda che aleggia per tutto il film e a cui nessuno, almeno fino alla fine, risponde mai direttamente (“Il fumo fa male oppure no?”) è la foglia di fico che nasconde una questione molto più fondamentale: la moralità, pubblica o privata, per quanto giusta, non è cosa che si possa imporre dall’esterno con campagne più o meno efficaci, ma è piuttosto il frutto dell’interazione imprescindibile tra libertà ed educazione. Un’educazione che nasce dentro un rapporto piuttosto che essere imposta dall’esterno, si tratti di pubblicità ingannevole o di benintenzionate campagne informative. Insomma, non si può congegnare “un mondo così perfetto che non ci sarà più bisogno di essere buoni”.,La verità che emerge da questa storia è insieme semplice e rivoluzionaria: in un mondo dove vince chi meglio sa argomentare e in cui non è importante avere ragione se si riesce a dimostrare che gli altri hanno torto, dove ogni argomento sembra poter essere relativizzato da un’onda retorica inarrestabile, almeno una cosa rimane sacra e incontrovertibile: l’importanza del rapporto tra un padre ed un figlio.,Proprio come in Juno la retorica pro choice viene sconfitta dalle unghie di un feto ancora invisibile, la moralità di Nick, discutibile per tutto il resto, è messa al muro e misurata su quanto di se stesso è disposto a mostrare allo sguardo del figlio, quanto sia in grado spiegare e giustificare ai suoi occhi. E se nella mente di certi critici un film come questo corre certamente il rischio di diventare la bandiera di un antiproibizionismo indiscriminato (che può valere per una sigaretta come per qualcosa di molto più pericoloso) non c’è dubbio che nel relativismo generale Reitman riconosca nella positività del rapporto tra un padre e un figlio una verità così evidente da non aver bisogno di alcuna dimostrazione. ,Laura Cotta Ramosino,