È una sofisticata parabola sul potere e sui suoi effetti corruttivi, che non hanno colore e generi, a dispetto di quanto si possa pensare, il nuovo film di Todd Field (l’ultimo, Little children, risale al 2006), centrato tutto sulla straordinaria prova di Cate Blanchett, e l’ennesima (se ce ne fosse bisogno) dimostrazione del suo strepitoso talento.
È lei a calarsi con intensità e convinzione nel ruolo di Lydia Tár, direttrice d’orchestra (nel caso, la Filarmonica di Berlino), alle prese con l’incisione della V Sinfonia di Mahler ma anche con uno scandalo montante legato alle sue spesso ambigue relazioni con le giovani musiciste delle sue orchestre e con quelle che sostiene con la sua borsa di studio.
Todd Field costruisce la parabola di ascesa e caduta della sua protagonista con una precisione drammatica e stilistica così naturale da sfiorare la sprezzatura. Lydia Tár, quando la conosciamo è una professionista affermata e riconosciuta, che gestisce il proprio brand con spietata efficienza e vive una vita ai massimi livelli, viaggiando per il mondo in jet privato, seguita passo passo dalla sua assistente tuttofare Francesca (Noémie Merlant), lei stessa aspirante direttore d’orchestra, il cui rapporto con Lydia ci appare fin da subito venato di qualcosa di patologico destinato ad esplodere più avanti.
Tutto sembra perfetto e sotto controllo, dal management dell’Orchestra di Berlino (una vera e propria azienda, con le sue dinamiche lavorative sindacali e manageriali), alla vita coniugale (la moglie di Lydia – interpretata con dolcezza da Nina Hoos – è il primo violino dell’orchestra e anche i problemi scolastici della figlioletta con piccole bulle locali vengono affrontati da Lydia con un piglio aggressivo ed efficiente), e anche nei rapporti con i media Lydia mantiene una maschera perfetta e controllata (il film inizia con un’intervista condotta dal giornalista del New Yorker Adam Gopnik nella parte di se stesso). Anche quando la vediamo rimettere al suo posto un giovane studente della Jilliard che contesta Bach solo perché antico, bianco ed eterosessuale non possiamo fare a meno di apprezzarne la logica infallibile ancorché un po’ aggressiva. Ma come diviene man mano sempre più evidente, il successo di Lydia Tár è come la gloria di certi personaggi della tragedia greca, una fonte di hybris destinata a trascinarli a fondo costringendoli a fare i conti con la verità di stessi.
Quanto più alto è il piedistallo su cui Field pone la sua protagonista, infatti, tanto più inarrestabile e rovinosa sarà la sua caduta: a provocarla un insieme di elementi che finiscono per intersecarsi in una combinazione di errori sempre più gravi che porteranno Lydia sull’orlo del baratro. C’entra una specie di amor fou che Lydia sviluppa per la nuova violoncellista russa, con cui inizia un gioco di reciproca seduzione in cui non è mai chiaro chi sia a condurre il gioco, ma anche i sospesi con una delle sue pupille, che per lei aveva sviluppato un’ossessione e che Lydia aveva tagliato violentemente fuori dalla sua vita. Poi ci si mette Internet e il mondo dei social media, che da genio ed eroina contemporanea dell’empowerment femminile la trasforma in una predatrice seriale senza scrupoli a cui toglie in un attimo tutto quello su cui pensava di avere una presa così salda. Lydia è probabilmente tutte queste cose insieme, e lo abbiamo avuto sotto gli occhi tutto il tempo, anche se Field è brevissimo a giocare con la nostra prospettiva e con la consistenza del reale, che piano piano si sfalda costringendoci a mettere in dubbio la nostra lucidità insieme a quella della protagonista.
Lydia alla fine del percorso si ritroverà nuda di fronte alle sue molte maschere, spogliata del potere e degli affetti, forse pronta a ricominciare da zero, sempre dal piedistallo del direttore d’orchestra ma in una circostanza così improbabile da rovesciare completamente il punto di partenza; e non è detto che questo sia alla fine un male se sarà pronta ad affrontare questa sfida.
Tár è un film cerebrale ma pieno di fuoco, di estrema eleganza per ambientazioni, costumi e fotografia, che permettono di entrare in un mondo sofisticato e rarefatto come quello della musica classica senza sentirsene estraniati, e non nasconde l’affronto di temi scomodi come la natura corruttiva del potere, che non ha genere e colore, senza pretendere di offrire una risposta facile e univoca ma offrendo una meditazione complessa sullo scenario delle relazioni interpersonali contemporanee.
Laura Cotta Ramosino
Clicca qui per rimanere aggiornato sulle nuove uscite al cinema
Clicca qui per iscriverti alla newsletter di Sentieri del cinema