Cosa potrebbe succedere all’organismo di un uomo adulto che per un intero mese decidesse di cibarsi unicamente dei prodotti in vendita da McDonald’s, la catena di fast food più nota e diffusa del pianeta? Questa la provocazione di fondo del documentario scritto, diretto e interpretato da Morgan Spurlock che prende le mosse dalla denuncia di due giovani statunitensi che nel 2002 hanno fatto causa alla multinazionale ritenendola responsabile del loro disfacimento fisico. Dopo essersi sottoposto ad attenti esami clinici che ne attestano il perfetto stato di forma, il regista lancia la sfida al colosso mondiale del fast-food: costantemente seguito da un’equipe di medici che periodicamente ne rileva il decadimento fisico e morale, si impegna a nutrirsi a colazione, pranzo e cena unicamente con i prodotti in vendita nei ristoranti McDonald’s, imponendosi di assaggiare nel corso del mese tutti i cibi proposti (non solo hamburger in tutte le fogge e colori ma anche le svariate bibite, dolci e insalate, anch’esse ipercaloriche), ponendosi l’obbligo, nel caso gli venisse proposto, di accettare il mostruoso menu Big Size del titolo, comprendente dosi maxi di patatine e coca-cola. Il pretesto è accattivante quanto la sua realizzazione, nonostante celi un’ipocrisia di fondo: il nostro corpo reagirebbe in maniera innaturale anche se per 30 giorni consecutivi ci cibassimo unicamente di pasta, insalata o frutta. Ma accettato questo compromesso, il documentario di Spurlock rivela aspetti molto interessanti presentandosi come uno spaccato della società americana odierna, andando a indagare una piaga come quella dell’obesità giovanile, legata alla mancanza di educazione – alimentare ma non solo – delle nuove generazioni. Spurlock documenta le sue scorpacciate, talvolta nauseanti ma più spesso con gusto, osserva il suo stomaco aumentare in continuazione nonostante i medici, con volto eccessivamente allarmato, gli consiglino di interrompere la dieta, vede i suoi valori di colesterolo alterati, ma il suo tentativo di dipingere come il diavolo la catena di fast food che conta oltre 80 punti vendita nella sola Manhattan e ha ristoranti ovunque, persino negli ospedali, è tendenziosa. Però il viaggio che compie in certi aspetti della cultura a stelle e strisce, a volte tanto distorta quanto affascinante, fornisce una radiografia interessante di una realtà lontana da noi la cui distanza in certi aspetti della vita va drammaticamente assottigliandosi.,Pietro Sincich,