La riscoperta, una decina di anni fa e a sessant'anni dalla morte ad Auschwitz della sua autrice, del romanzo incompiuto di Irene Nemirovsky Suite francese, conservato per decenni in una valigia dalle figlie della defunta, ha già di suo qualcosa di romanzesco è miracoloso. Opera quasi “sinfonica” più che semplicemente narrativa (concepita in cinque movimenti ma rimasta incompiuta, con i primi due completati e solo titoli e abbozzi di prosecuzione per gli altri), il film possiede l'ambizione e il delicato equilibrio della grande epica contemporanea, sulla scorta di Guerra e pace (l'autrice era un'ebrea russa rifugiata dopo la rivoluzione).,La scrittura della Nemirovsky, infatti, riesce miracolosamente a rielaborare in diretta la cronaca elevandola a un’universalità apparentemente impossibile per chi viveva sulla sua pelle la violenza degli eventi. Simbolo perfetto di questa prospettiva unica è la storia d'amore tra la francese Lucille e l'ufficiale tedesco che occupa la sua casa, prima estraneo odioso e poi a poco a poco anima gemella capace di toccarne il cuore nonostante le circostanze esterne si oppongano brutalmente. ,Della delicatezza poetica del testo originale poco rimane in questo adattamento, che nella foga di aggiungere plot a una vicenda fatta di sguardi e non detti, accumula situazioni melodrammatiche e piene di cliché e tenta di ridare il tono letterario e il senso originale con una voice over spesso inutile e pesante. Dibb (suo anche il sopravvalutato La duchessa) e il suo cosceneggiatore pescano personaggi e situazioni da entrambe le parti rimaste del romanzo, aggiungendo linee narrative che sfruttano senza molta eleganza situazioni e personaggi tipici del racconto di guerra: l'ufficiale occupante lascivo e prepotente, la contadina povera e sensuale, lo storpio oppresso pronto a entrare nella resistenza, l'ebrea in fuga, la collaborazionista classista, ecc..,Non aiutano a entrare nella storia le scelte di cast (per avere un appeal internazionale la francese Lucille è interpretata dall'americana Michelle Williams, il tedesco Bruno dal belga Schoenaerts, per non parlare dell'australiana Margot Robbie e dell'inglese Ruth Wilson, entrambe volti troppo moderni per due contadine francesi di metà secolo scorso) come pure una certa tendenza da parte dei personaggi a “declamare” le proprie posizioni, quasi che gli autori non credessero il pubblico capace di dedurle in proprio. Il migliore del gruppo è senza dubbio Matthias Shoenaerts, capace di dare a Bruno, ufficio ligio al dovere, ma anche sensibile e amante della musica, le giuste sfumature di dolcezza, passione repressa, rigore e incertezza ideologica, mentre sono meno convincenti, anche perché servite in modo un po' meccanico dalla sceneggiatura, la protagonista Lucille e la suocera rigida e classista di Kristin Scott Thomas.,Non ci fosse il confronto con una fonte così alta, Dibb e compagnia potrebbero sperare di far passare questo adattamento pedestre e un po' didascalico per l’ennesimo e non proprio indispensabile melodramma di guerra. Ma al lettore e al pubblico consapevole resta il rimpianto di una grande occasione mancata e il senso di un tradimento nei confronti di un'opera e un'autrice che avrebbero meritato ben altro trattamento. ,Laura Cotta Ramosino