Trent’anni 80 fa – il 27 marzo 1987 – usciva nelle sale italiane Stand by me – Ricordo di un’estate, adattamento cinematografico del racconto The Body di Stephen King (tratto dalla raccolta Stagioni diverse, che comprende anche il testo all’origine del bellissimo Le ali della libertà). Il consenso che raccolse, all’epoca (nonostante la candidatura all’Oscar come Miglior Sceneggiatura non originale, assegnato poi a Camera con vista), non è minimamente paragonabile all’impronta che questa pellicola ha lasciato nella storia del cinema. Uno dei tanti film “minori” per ambizione, ma che in quel decennio costituirono un corpus di opere immortali perché portatrici di una concezione di cinema che oggi è difficilmente rintracciabile, anche nei progetti più improntati all’entertainment. Un modo di fare cinema d’intrattenimento mai banale, mai volgare, con grande attenzione a tutti gli aspetti, scrittura dei personaggi e delle storie in primis. Un cinema di “formazione” per ragazzi, per famiglie, in grado di restituire agli spettatori non solo un’esperienza appagante nell’immediato ma un accrescimento più duraturo, perché profondi erano alcuni snodi che univano la narrazione e i personaggi, pur inseriti in un contesto apparentemente leggero.

Una storia d’amicizia, un’avventura di quattro ragazzi che galleggiano nel pieno della loro adolescenza, in quel limbo dolceamaro che separa l’infanzia dall’età adulta, sospesi tra la voglia di scherzare e la proiezione in un futuro che inizia a delineare i suoi spigoli. Un racconto che accosta momenti di svago ad altri più crudi (il “mood” del film assume a tratti connotati quasi horror, mentre l’inquietudine è una costante dell’opera; non potrebbe essere diversamente visto l’autore a monte del testo), con tante scene memorabili. Diretto da Rob Reiner, con le apparizioni dei giovanissimi Kiefer Sutherland e John Cusack e un ruolo di rilievo per River Phoenix, fratello di Joaquin, cui il destino riservò una brutta fine da lì a qualche anno. «Non abbiamo più amici come quelli che avevamo a 12 anni» sentenzia nel finale il protagonista ormai adulto. E, forse, nemmeno film come quelli che avevamo allora.

Pietro Sincich