Un week-end natalizio del ‘92 nella (inventata) residenza reale di Sandringham è lo sfondo delle vicende di Carlo e Diana, e già possiamo immaginare cosa siano gli obblighi delle feste comandate in una famiglia disfunzionale come la loro. Il matrimonio in crisi (di lì a poco sarebbe arrivata la notizia ufficiale della separazione) è messo ancora duramente alla prova dai rituali e dagli obblighi del protocollo reale. Una volta nella tenuta, Diana – interpretata da Kristen Stewart – riceve un’accoglienza gelida almeno quanto la temperatura del castello: «Fa sempre freddo qui dentro», si lamenta con i suoi ragazzi, William (Jack Nielen) e Harry (Freddie Spry), le uniche due persone che sembrano davvero felici di vederla. Carlo (Jack Farthing) non si trova da nessuna parte e il maggiore Alistar Gregory (Timothy Spall), che è stato chiamato a tenere a bada la stampa impicciona, non sembra affatto contento del suo ritardo. Diana, esasperata dall’insensibilità del marito e dal controllo esercitato sul suo comportamento dal severo funzionario della casa reale, si rifiuta di adeguarsi, scivolando nei ricordi della sua infanzia.
La scelta del titolo del film di Pablo Larraín sembrerebbe promettere la verità sulla principessa del Galles. Ma il regista cileno, che si è fatto un nome a partire da Tony Manero come cronista nervoso degli orrori sociali del Cile di Pinochet, è specializzato nell’interpretare la verità rivestendola di effetti drammatici. Larraín si concentra così strettamente sul suo personaggio principale, e con un effetto claustrofobico amplificato dal vagare della Principessa tra i corridoi cavernosi e le camere da letto della tenuta di Sandringham, cercando disperatamente di evitare il contatto con il resto degli ospiti.
Il problema di Spencer comincia con la scelta della protagonista: Kristen Stewart “recita” Diana più che entrare nel personaggio. La sua è un’interpretazione molto caricata, nella quale ammiccamenti, posture, gestualità sembrano sempre poco spontanei e affettati (la scena nella quale si mette a ballare da sola rivela anche evidenti limiti nel movimento), ma soprattutto manca totalmente del contagioso carisma che tutti riconoscevano alla defunta principessa. Fin dalle prime inquadrature la figura della principessa appare come quella di una donna con evidenti problemi psichici, in difficoltà a riconoscere la differenza tra reale e immaginario (è convinta di essere in comunicazione con Anna Bolena, seconda moglie di Enrico VIII poi decapitata), costantemente con la paranoia di essere spiata dai fotografi e controllata attraverso il personale di servizio.
Se la famiglia reale è ridotta a un monologo di Carlo e una breve frase della Regina (forse per accentuare il mistero che la avvolge: «La famiglia reale inglese è molto discreta» sostiene Larrain. «Potrà apparire anche in pubblico, ma a un certo punto le porte si chiudono e non c’è modo di sapere cosa stia accadendo dietro di esse»), maggior risalto hanno le figure di contorno, come il già citato Spall, lo chef (Sean Harris) e Sally Hawkins, che interpreta la cameriera privata della principessa (e che pure non manca di dichiarare il suo amore omosessuale nei confronti di Diana).
La Stewart ha detto di aver guardato a lungo la serie The Crown per calarsi meglio nel ruolo di Diana; spiace dirlo, ma evidentemente non è bastato a migliorare un film dalla trama fatta in gran parte di scene immaginarie, da dialoghi che non aiutano la storia e dai soliti luoghi comuni sulla freddezza della monarchia inglese.
Beppe Musicco
Clicca qui per rimanere aggiornato sulle nuove uscite al cinema
Clicca qui per iscriverti alla newsletter di Sentieri del cinema