Dai nostri inviati al Lido
In concorso irrompe il film forse più bello di Venezia 73. Lo firma il veterano russo Andrej Konchalovskij, già Leone d’argento due anni fa con Le notti bianche del postino (mai uscito in Italia, peraltro noi non ci entusiasmammo). In Rai (Paradise, nella foto) l’azione si apre, in bianco e nero e in un formato quadrato che aumenta il senso di oppressione, nella Francia occupata dai nazisti, quando alcune donne russe vengono arrestate per aver nascosto bambini ebrei. Una di esse, una contessa, viene interrogato da un funzionario di polizia e cerca di salvarsi concedendosi a lui. Ma perché poi vediamo lei, non più con bella chioma fluente ma con i capelli rapati a zero e lo stesso funzionario interrogati da un interlocutore sconosciuto, in un luogo segreto, con immagini in pellicola che ogni tanto si sgrana? Stessa sorte capiterà poi a un nobile tedesco, ufficiale nazista. Un primo colpo di scena (da non svelare: speriamo che chi scriverà del film sia clemente con il pubblico) che interrompe avvenimenti sempre più cupi, ci inizia a far balenare un’ipotesi apparentemente strana, se non stravagante. Quando poi la vicenda si sposta in un campo di concentramento potrebbe sembrare il “solito” film sull’Olocausto. Konchalovskij però evita i rischi con uno stile sempre più incalzante, mentre la storia ha continui scarti tra incontri sorprendenti o gesti imprevisti dei vari personaggi. Fino al finale sorprendente e bellissimo. Leone d’oro, per noi.
L’ultimo italiano in gara, Questi giorni di Giuseppe Piccioni, non regge il confronto. E non convince nemmeno del tutto: la storia delle quattro amiche che partono pe run viaggio verso Belgrado (una si trasferisce lì per lavoro, le altre l’accompagnano) ha una certa freschezza, grazie alle giovani interpreti, ma anche parecchi elementi risaputi. Tutte e quattro si portano una confusione sentimentale e una precarietà – sicuramente termini di stretta attualità, non solo nel mondo giovanile – che però si riverbera nell’esilità degli sviluppi narrativi; con tanto di sovrabbondanza di finali. Ci torneremo presto, quando uscirà in sala. Ma il film, per quanto interessante e ben fatto, scivola via.
Fuori concorso, è invece piaciuto molto The Journey di Nick Hamm, con una coppia di attori enormi (e a noi cari): Timothy Spall (l’ultima sua prova famosa è stato Turner) e Colm Meaney (irlandese che si fece notare negli anni 90, con film come The Commitments, Due sulla strada) ma che da tanto tempo non vedevamo in un ruolo importante. Il film narra la svolta decisiva, dieci anni fa, dei colloqui tra i partiti nemici nell’Irlanda del Nord, favoriti dal primo ministro britannico tony Blair e da quello irlandese. Ma i due capi, che si sono combattuti tutta la vita, il vecchio protestante Ian Paisley e il repubblicano cattolico Martin McGuinness faticano anche solo a stare in una stessa stanza. Figuriamoci quando dovranno, per coraggiosa iniziativa del secondo, fare un lungo viaggio in auto insieme. Il film inventa molto, probabilmente, su quel viaggio come in tante commedie che raccontano al cinema importanti pagine di storie. Si ride molto, grazie a battute e situazioni godibilissime (e ai due straordinari attori). Ma si rimane anche ammirati dal coraggio di due uomini, acerrimi nemici, che decidono di fare qualcosa di grande – nonostante le proprie ritrosie – per la propria gente. Da non perdere, quando uscirà (forse a Natale) nei cinema italiani.