In largo anticipo rispetto alla moda dei “racconti spaziali” esplosa qualche anno più tardi, Space Cowboys  è un racconto estremamente classico, in alcuni casi e su alcune caratterizzazioni persino al limite del cliché.

E tuttavia riesce a mescolare con abilità il racconto avventuroso di una missione oltre i limiti (ma senza l’ossessione dei dettagli tecnico-scietifici o degli effetti speciali) ai toni ironici e leggeri tipici della vena vagamente anarchica di Eastwood (con la sua critica alle istituzioni ottuse, qui il governo e la Nasa che prima hanno messo da parte i piloti e poi li “usano” per farsi pubblicità) senza farsi mancare momenti di sentimento e dramma.

Frank (Eastwood), Hawk (Tommy Lee Jones, il più giovane che non a caso si “merita” una storia d’amore), Jerry (Donald Sutherland) e Tank (James Garner) erano pronti a volare sulla luna alla fine degli anni ’50, ma furono messi da parte. Ora che la Nasa ha bisogno di loro (un satellite sovietico obsoleto rischia di cadere sula terra e solo loro ne conoscono bene il funzionamento) i quattro un po’ si fanno desiderare, un po’ esitano dubitando loro stessi delle loro capacità, ma poi si entusiasmano e dimostrano contro ogni aspettativa di valere quanto e più dei loro colleghi più giovani.

Il racconto della loro preparazione e poi della missione procede lungo binari collaudati e forse anche prevedibili (i dissapori con il vecchio superiore, i segreti dei sovietici, gli incidenti e le improvvisazioni, ma anche il necessario sacrificio di qualcuno), ma Eastwood mostra tutto il suo talento di regista nel manovrare i suoi “dinosauri”, il tutto al ritmo di una colonna sonora indimenticabile figlia del suo gusto musicale impeccabile.

Forse non uno dei capolavori di Eastwood, Space Cowboys è però in un certo senso la prima volta della carriera “ da vecchio” del regista/attore, che inaugura una galleria di personaggi vissuti, ma non per questo meno affascinanti.

Luisa Cotta Ramosino