Angela, amata moglie e madre, muore di fatica lavorando nei campi come bracciante stagionale. Suo marito Giuseppe, ex spaccapietre rimasto cieco da un occhio e quindi rifiutato dai datori di lavoro, decide di prendere il suo posto nei campi: insieme al figlio di dieci anni Antonio si trasferisce in una baraccopoli gestita da padroni disumani. Giuseppe fa però ad Antonio una promessa impossibile: giura che presto gli restituirà sua madre.
Uscito nelle sale in contemporanea con il passaggio alle Mostra di Venezia 2020, Spaccapietre era il film italiano in concorso alle Giornate degli Autori, seziona autonoma del festival. Con questo dramma i gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio tornano al lungometraggio di finzione a otto anni dall’opera prima Sette opere di misericordia (oltre a una serie di documentari).
I due registi torinesi, classe 1978, compiono una denuncia aspra e umanitaria del caporalato, che può contare sulla valida interpretazione di Salvatore Esposito, il Genny della serie tv Gomorra, qui in un ruolo opposto a quello che lo ha reso famoso. Il destino si accanisce contro i protagonisti, ma anche contro centinaia di invisibili, sia italiani che extracomunitari, costretti a vivere giorno dopo giorno in un inferno terreno. Lottare per salvare l’ultima scintilla di umanità è ancora possibile, ma la violenza potrebbe essere un passaggio necessario. I De Serio confezionano un film duro e quasi claustrofobico, legato anche alla scelta di un formato insolito, che volutamente imprigiona le figure in uno sfondo ristretto dal quale è difficile liberarsi.
Roberta Breda