Inizio folgorante, grazie al solito, bravissimo Carlo Buccirosso nei panni del Questore di Napoli che si trova di fronte l’ennesimo raccomandato del potente (e che rimarrà invisibile) assessore Puglisi. Tramite la mamma, il giovane musicista Paco – pianista diplomato al Conservatorio e persona precisa e rispettosa – arriva a questo colloquio per un improbabile posto nella Polizia di Stato; da cui lo sfogo del Questore, contro il politico prepotente e i raccomandati che rovinano l’Arma… Una sequenza da antologia.
E non fine a se stessa: perché poi, alla fine, Paco ci entra in Polizia; ma ovviamente, non avendo le qualità richieste, finisce al deposito giudiziario dove si controllano i beni sottratti ai malavitosi. Finché, imprevedibilmente, anni dopo gli viene chiesta una vera missione dal duro commissario Cammarota: entrare come tastierista, sotto falso nome, nella band dell’idolo locale Lollo Love (che fa strage di cuori tra le fans, che chiama “cuoricine” dal titolo della sua hit di successo) che dovrà suonare al matrimonio della figlia di un camorrista, il terribile “Mazza di Ferro”: ma l’obiettivo non è lui, bensì il misterioso e ricercato boss Ciro Serracane, che dovrà intervenire, e di cui nessuno conosce nemmeno il volto (non a caso è soprannominato O’ Fantasma)… Per la polizia il matrimonio è l’occasione giusta per arrestarlo. Così, diventato Pino Dinamite, il povero e spaventatissimo Paco – che già, lui che ama Rachmaninov, non vorrebbe avere a che fare con quella musica di serie B – si ingrazia il burbero ma in fondo buono Lollo e anche la sorella Marianna (di cui si innamora), che puntano a far uscire la band dal ghetto dei cantanti neomelodici locali e sognano Sanremo. Paco/Pino fa credere, anche per far colpo sulla bella Marianna, di avere amicizie discografiche giuste, scontando però al tempo stesso l’ansia da doppia vita. E quando arriva il giorno del matrimonio “camorrista”, la tensione gli sale al massimo. Riuscirà Paco a uscirne vivo, e magari a non perdere la stima e l’affetto di Lollo e Marianna?
I fratelli Antonio e Marco Manetti, talentuosi e discontinui, hanno alternato cinema “minore” e operazioni sofisticate, brutti film e tanta tv e videoclip. Il talento non manca loro, ma se in Zora la Vampira avevano attirato l’interesse di Carlo Verdone (produttore e attore nel film) e se Piano 17 era un noir ben congegnato, poi al cinema non hanno dato grandi prove di sé toccando il minimo con il pur intrigante ma sciatto L’arrivo di Wang e l’horror truce Paura 3D. Mentre in tv con L’ispettore Coliandro hanno dimostrato di avere, se vogliono, i numeri. Qui tornano su buoni livelli con questa commedia un po’ action, che strizza l’occhio ai poliziotteschi anni 70 e ai B movie musical-napoletani anche del decennio successivo, con inserti surreali (con pallottole che si animano) che ricordano certi film americani o asiatici. Non tutto convince, ma il tono è scanzonato e divertente, il ritmo a tratti scatenato e gli attori in palla: Alessandro Roja è credibile nella parte del pianista che corre pericoli più grandi di lui, Serena Rossi è brava, bella e buca lo schermo e Giampaolo Morelli (che, dopo appunto Coliandro, torna finalmente al cinema), anche autore del soggetto, è perfetto nei panni di Lollo Love; mentre, oltre al già citato Buccirosso, meritano una menzione anche Peppe Servillo (in un piccolo ruolo) e Paolo Sassanelli (che però, pur bravo, non riesce a tenere sempre l’accento napoletano che mischia a tratti al suo barese…), oltre a caratteristi partenopei come Antonio Pennarella e Ciro Petrone.
Grazie anche alle musiche di Pivio e Aldo De Scalzi (non a caso il titolo: Song’e Napule significa “sono di Napoli”, ma gioca anche su “song” ovvero canzone), e alle canzoni scritte e arrangiate dagli Avion Travel, Song‘e Napule si rivela un film giocoso che fa uscire di buon umore dal cinema se non si sta troppo a sottilizzare sui limiti di un’operazione a basso budget, dove inseguimenti e sparatorie sono un po’ raffazzonate (la parte del matrimonio è proprio la più frettolosa e confusa) come d’altronde in molti film presi a modello. Ma che due registi romani al 100% siano riusciti a rendere al meglio la napoletanità non era affatto scontato…
Antonio Autieri