Da quando la Disney, dopo il vasto universo Marvel, ha inglobato anche il franchise di Guerre Stellari alias Star Wars, nel dichiarato intento di monetizzare il costosissimo acquisto, ha inaugurato, accanto alla terza trilogia legata alla saga degli Skywalker e ai Jedi, una serie di progetti “collaterali”. Solo, quindi, è anche e soprattutto parte di un piano commerciale di espansione, iniziato un anno e mezzo fa con il più riuscito Rogue One (che aveva il coraggio di un finale tragico ed eroico).

Se allora i personaggi, a parte qualche cameo, erano sconosciuti, solo tangenzialmente coinvolti nelle vicende principali della saga, qui l’eroe titolare è Han Solo, uno dei tre personaggi principali della trilogia originale, indissolubilmente legato per la prima generazione di spettatori alla faccia da schiaffi di Harrison Ford. Si tratta a tutti gli effetti di una origin story (una di quelle storie che raccontano al pubblico come un personaggio noto è diventato quello che conosciamo). In pratica, il Ritratto dell’Eroe da Giovane.

Ed era un po’ giocoforza che del terzetto si andasse ad esplorare il contrabbandiere stellare, quello che nonostante la giovane età poteva dare l’idea di avere un “passato”. Il difficile compito di non far rimpiangere il precedente interprete si posa sulle spalle di Alden Ehernreich (in Ave Caesar! dei fratelli Coen era l’amabile cowboy che storpiava ripetutamente le battute di una commedia sofisticata), che tutto sommato fa il suo, senza lasciarsi scappare troppi ghigni sarcastici e, anzi, piegando il personaggio più verso un’ingenua tenerezza romantica, come un bambino avventuroso che provasse la parte del cinico avventuriero che ancora non è.

Ovviamente i punti forti della storia, specie per gli appassionati della trilogia originale, sono quelli in cui la strada di Han finalmente incrocia quella dei suoi futuri compagni di avventure: lo wookie Chewbecca e il giocatore imbroglione Lando Carlissian (il lanciatissimo Donald Glover), primo proprietario della Millenium Falcon. È quello per cui abbiamo pagato il biglietto e la Disney fa di tutto perché ce ne torniamo a casa soddisfatti: vedere Han pilotare la prima volta il suo mezzo a fianco del suo peloso compare, tra pozzi gravitazionali e masse di asteroidi, è uno di quei momenti fondativi che risultano insieme esaltanti e stranamente familiari.

Peccato che la storia scritta dai Kasdan padre e figlio, ma anche gli altri personaggi di contorno (compresa la prima “fidanzatina” di Han, Qi’ra), si accontentino di sfruttare onesti stereotipi di un genere avventuroso su cui, superata la meraviglia per le belle sequenze di azione e qualche invenzione visiva, pesa un po’ la tendenza al didascalico (alla Disney amano ripetere le cose, e quando finalmente dovrebbe arrivare in scena una sorpresa è difficile stupirsi davvero) e la vocazione commerciale dell’operazione (che, ça va sans dire, si spiana la strada per altri lucrativi sequel). La vicenda tenta anche qualche affondo “politico”, tra le rivendicazioni dei diritti degli androidi della copilota di Lando, e, nel finale, l’accenno alla lotta appena intrapresa contro la forza combinata di imperiali e di malvagie multinazionali del crimine, ma va detto che l’operazione di critica sociale suona un po’ forzata.

Non un film senz’anima o invenzione, e con il lusso della regia solida di Ron Howard (subentrato ai precedenti registi a lavorazione iniziata) e di un cast di contorno che sfoggia i soliti ottimi comprimari, dal mentore Woody Harrelson al gangster psicopatico Paul Bettany, ma di certo una pellicola meno ispirata e sorprendente di Rogue One. La sensazione, fatto il bilancio di quattro film (due della linea principale e due indipendenti) è che la “nuova proprietà” stia facendo con Star Wars un lavoro meno interessante che con la Marvel, trattando un universo narrativo più come un pozzo di petrolio da sfruttare che con il rispetto dovuto a una mitologia “sacra” per milioni di spettatori.

Laura Cotta Ramosino