Il sole porta luce, calore, gioia. E vita. Non lo sa la giovane Lena (Sandra Drzymalska), venuta dalla Polonia, in attesa di una bambina che le frutterà 10mila euro. Le assegnerà il nome Sole. E Sole è il titolo scelto da Carlo Sironi per il suo esordio che arriva in sala, dopo la prima selezione in Orizzonti, la sezione sperimentale della Mostra di Venezia. La gravidanza di Lena è trascorsa fino all’ottavo mese senza difficoltà e ora il suo ultimo mese, d’accordo con i genitori “compratori” (Bruno Buzzi e Barbara Ronchi) sarà vissuto in un appartamento romano, dove Ermanno (Claudio Segaluscio), il suo carceriere ventiduenne, la tiene d’occhio. Ermanno è silenzioso, non sorride mai e si comporta come se fosse un impiegato con Lena. Provvede ai suoi bisogni primari e, quando può, la lascia spesso sola perché spende gli unici soldi che possiede nelle slot machine. Non c’è traccia di legame nelle vite dei due protagonisti, ognuno preso dalla solitudine e dal bisogno di sopravvivere economicamente.

I futuri genitori sono invece sorridenti, ossequiosi, felici di sapere che presto non saranno solo loro due in casa. Che potranno avere qualcosa che la natura non gli ha dato. Che potranno occuparsi di qualcuno, anche se quel qualcuno ha preso vita da un grembo di una ragazza che non sa, fino in fondo, quello che sta facendo. Il mondo fuori sembra aver trovato la vita; quello dentro, in quegli appartamenti quasi bui, senza luce, sembra invece avvicinarsi alla morte, dell’anima però. Le persone che ruotano intorno a Lena e Ermanno potrebbero scomparire dal loro universo. Non chiedono mai come loro vivono, cosa fanno, quali siano i loro sentimenti. I due protagonisti li subiscono, e in qualche modo sono costretti a incontrarli.

Carlo Sironi gira il suo esordio, prodotto dalla giovane casa italiana Kino Produzioni con una società polacca, senza desiderio di compiacere alle regole del cinema popolare. La sua è una regia asciutta e essenziale, rara nel cinema italiano. Non cerca una storia forte, mai vista, e forse sulla scia di Jean – Pierre e Luc Dardenne, vuole cimentarsi a raccontare il mondo dei ragazzi che non hanno adulti ma sono costretti a comportarsi da adulti.

La macchina da presa si muove silenziosamente tra le mura domestiche (la musica è forte solo quando le scene si svolgono in un locale notturno) perché Sole è un film privato e minimalista. Pecca perciò di inerzia narrativa nella parte centrale, quando la definizione della storia e dei personaggi è arrivata in tutta la sua chiarezza e lo spettatore attende che qualcosa possa smuovere l’animo dei nostri protagonisti, costretti all’ineludibilità dell’attesa. Ma quello che di speciale ha Sole, una condizione rara nel nostro cinema, è un finale bellissimo, che difficilmente si dimentica.

Emanuela Genovese