Il film di Oliver Stone racconta la stessa storia di Citizenfour, il documentario (premiato con un Oscar) che Laura Poitras ha realizzato intervistando clandestinamente il trentenne Edward Snowden in un albergo di Hong Kong. Stone decide di drammatizzare la vicenda affidando il ruolo del protagonista a Joseph Gordon-Levitt, che racconta la sua storia e le azioni che ha deciso di intraprendere, al termine di una lunga e dolorosa battaglia personale in nome dei propri principi morali.
Il film mostra il giovane Snowden (che viene da una famiglia di militari) recluta dell’esercito, costretto ad abbandonare per una fragilità ossea ma subito reclutato dalla CIA (rappresentata da un ottimo Rhys Ifans in un ruolo inquietante), anche se non ha un titolo di studio, per le sue straordinarie doti informatiche. Deciso a difendere il proprio paese dagli attacchi di hacker e spie, Snowden più va avanti e più comprende che lo scopo dei suoi superiori è via via passato dalla protezione del paese alla ricerca del controllo totale delle comunicazioni mondiali, grazie anche ai software che lui stesso ha sviluppato. La vicenda professionale del protagonista va di pari passo con la storia sentimentale con la sua ragazza Lindsay (Shailene Woodley), che patisce la forzata segretezza del suo innamorato, i viaggi misteriosi, lo stress che causa a Snowden anche pericolose crisi epilettiche. Fino alla decisione di scappare e rivelare tutto alla documentarista (Melissa Leo) e a una coppia di giornalisti del settimanale inglese The Guardian (Zachary Quinto e Tom Wilkinson).
Interessante la scelta di Oliver Stone di rendere primario nella vicenda il rapporto tra Snowden e Lindsay, perché evidenzia bene il contrasto tra il senso del dovere del giovane – all’inizio nei confronti del suo paese, poi dei suoi principi morali – e il suo desiderio di una vita semplice accanto alla persona che ama. Snowden non è un fanatico, un maniaco o un uomo in cerca di vendetta: è una persona intelligente con una conoscenza superiore delle comunicazioni informatiche, che non vuole che i principi della Costituzione americana vengano bellamente ignorati, sottomettendo la popolazione del paese (e chissà di quante altre nazioni) a un controllo paragonabile solo a quello del Grande Fratello orwelliano. In questo Stone ritrova i temi di tante sue “battaglie” cinematografiche, che sceglie però di trattare questa volta con maggior misura e sobrietà di montaggio, ed evidenziando giustamente alcuni passaggi ricchi di tensione, come sulla modalità scelta per trafugare i dati. Ad aiutare il regista certamente un gran cast: Gordon-Levitt (già da noi apprezzato in 50 e 50) è perfetto, e non solo per la riuscita somiglianza somatica col protagonista, ma soprattutto per come riesce a rendere la fatica di gestire una situazione che per molti sarebbe insostenibile. A renderlo ancora più efficace, il ruolo di contraltare della Woodley, nei panni di una donna che non condivide e non sopporta la segretezza cui il suo uomo è vincolato, sempre combattuta tra l’amore e le sue convinzioni.
Non sappiamo quanto Snowden, che in patria rischia la galera per tradimento (richiesta per lui sia dalla Clinton che dallo stesso presidente Obama, che comunque ha stoppato il progetto di spionaggio globale) e ha trovato rifugio a Mosca, possa ora far comodo a Vladimir Putin, un ex agente del KGB il cui scopo non è certo solo la libertà del suo protetto. Però fa piacere vedere quando la stampa svolge egregiamente il proprio compito di informare, e solleva qualche dubbio in merito all’uso che le multinazionali fanno dei dati che troppo spesso consegniamo nelle loro mani. Stone conclude il film col vero Snowden nella sua casa di Mosca, al termine di un collegamento in cui ha spiegato a un folto pubblico le sue azioni. Ha l’aria di un uomo sereno.
Beppe Musicco