Giuseppe e Luna sono compagni di classe, frequentano la terza media in un paesino siciliano. Lei è innamorata di lui, lo pedina, vorrebbe dargli una lettera ma poi si tira indietro, poi prende il coraggio e rivela ai suoi sentimenti. Giuseppe apprezza e ricambia. Ma quel primo bacio furtivo che si scambiano è destinato a essere un addio: il ragazzo, figlio di un mafioso pentito (e messo sotto protezione in un luogo che nemmeno moglie e figlio conoscono) che per gli ex compagni è diventato un “infame”, viene rapito come forma di ricatto sul padre. Ma tutto fa pensare che lui non uscirà mai vivo dalle grinfie dei suoi carcerieri.
Luna, che intuisce cosa sta avvenendo, fa il diavolo a quattro: lo cerca, chiede di lui a una madre che piange senza parole, ma anche a insegnanti e poliziotti, litiga con genitori e chiunque altro le stia vicino senza comprendere il suo dolore per questa sparizione. Di più, senza condividere la sua indignazione per un silenzio rassegnato e omertoso. Intanto, vede continui segni premonitori (la seconda “prigione”, prima che venga spostato): ma cos’è reale e cosa no?

Basato sulla tragica vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo (cui il film è dedicato), strangolato e sciolto nell’acido da un boss mafioso che poi a sua volta “si pentì” e divenne collaboratore di giustizia, Sicilian Ghost Story è l’opera seconda di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che già si fecero apprezzare con Salvo, il loro film di esordio anch’esso sospeso tra violenza e sentimenti con un tasso di stile e ricercatezza ambizioso e piuttosto convincente. Qui l’azzardo è anche maggiore, spostando una dura storia di mafia in un insolito campo: il loro film è davvero una “ghost story” (chi vede il film capirà perché), una storia tra fantasy e horror gotico, debitore di tanti film di genere ma al tempo stesso con una propria cifra personale. Quel bosco dove i due ragazzi si guardano per la prima volta con occhi nuovi fa già paura all’inizio, con quel cane rabbioso che li insegue. Ma dopo la sparizione di Giuseppe, diventa simbolo di una realtà paurosa e ostile, grazie anche a ottiche deformanti che acuiscono il senso di pericolo. Purtroppo, come in Salvo, ci sono anche dilatazioni, rallentamenti, vezzi e scene un po’ gratuite (una piuttosto forte, e immaginata, in cui la ragazza vede un mafioso osceno con una donna), e anche qualche personaggio minore poco a fuoco (il fidanzato dell’amica e suo cugino). Ma al netto di difetti che sarebbe comunque meglio che i due registi riescano a superare in seguito, per ampliare le possibilità dei loro film (che rimangono, ahinoi, per pochi), piace lo sguardo e l’originalità artistica, i tanti simboli efficaci (il gufo, il disegno sul muro, l’acqua del fiume), i rapporti ben descritti (la madre di lei, svizzera e severa ma al tempo stesso fragile), le minacce che arrivano da immagini ma anche suoni e rumori, le facce dei due ragazzini come di tutti gli attori. Forse l’alternanza realismo/fantasy non è sempre perfetta, come appunto non è perfetto il film. Ma Sicilian Ghost Story è la conferma di un doppio talento che speriamo di veder crescere. Ed è la prova di un cinema italiano anche “piccolo” che si fa apprezzare all’estero: come il precedente film, che vinse la Semaine de la Critique a Cannes, anche questo ha debuttato al festival francese, stavolta fuori concorso. Ma sempre con grandi apprezzamenti. Senza aggiungere quello che è evidente: con la sua crudeltà, rafforzata dalle ultime immagini, non si può non ricordare l’orrenda fine di un ragazzino vittima di una violenza cieca e brutale.
Antonio Autieri