Solamente in due particolarissime occasioni Robert De Niro e Al Pacino avevano recitato nello stesso film: ne “Il padrino – Parte II” (1974) di Francis Ford Coppola, in cui interpretavano padre e figlio, ma in due segmenti narrativi e temporali sfasati, e in “Heat – La sfida” (1995) di Michael Mann (di cui questo film è la versione “con il pannolone”, per dirla con Simone Fortunato), che li vedeva presenti nella stessa scena, in due sequenze chiave, solo per pochi minuti. C’era molta attesa dunque per questo “Sfida senza regole”, che metteva finalmente per la prima volta spalla a spalla i due attori più celebri e talentuosi della loro generazione, impegnati finora solo in questi duelli – se così si può dire – a distanza. Vedere Pacino e De Niro duettare nello stesso film, nella ruolo dei due sbirri amiconi, avrebbe potuto essere accattivante come godere della compresenza di Massimo Troisi e Roberto Benigni in “Non ci resta che piangere” o, per restare nella stagione cinematografica 2008/2009, di Jackie Chan e Jet Li in “L’impero proibito”: due al prezzo di uno, insomma, per raddoppiare il godimento. In questo caso, purtroppo, il godimento si riduce a meno della metà, perché i due super-attori sembrano le parodie di loro stessi e paiono accontentarsi di riempire i centodieci minuti del film unicamente con il catalogo completo di smorfie, moine e tic da Actor’s Studio per cui sono riconoscibili. Quando per l’ennesima volta De Niro inarca le sopracciglia e piega in basso gli angoli della bocca (per esprimere disappunto), e Pacino piega la testa sorridendo a bocca chiusa sbarrando gli occhioni (come a dire: “ti sto prendendo per i fondelli”), perfino i fan più accaniti e gli spettatori più ingenui non ci cascano più. Che barba! Pessimi amministratori di loro stessi e della loro immagine, le due star si impantanano in un film inutile e raffazzonato che vorrebbe essere amaro e riflessivo ma è solo ridicolo e pedante, e deluderà anche gli appassionati del genere poliziesco. La colpa non è tanto di una sceneggiatura comunque poco originale (da cui con un po’ di sforzo si poteva tirar fuori un onesto B-movie) ma di una regia e una fotografia inutilmente ricercate che si illudono si evadere la piattezza con soluzioni visive non tradizionali (che risultano invece solo frastornanti e incomprensibili. ma dove sono finiti gli artigiani del cinema di venti, venticinque anni fa?). Poco da aggiungere: se i personaggi fossero stati tratteggiati bene, poteva diventare un’interessante riflessione sulla giustizia, il giustizialismo, l’amicizia, il senso morale, l’etica professionale. Ma allora tanto vale rivedersi “The Departed”, “Collateral”, “Miami Vice”, “American Gangster”, “Thelma & Louise” e ovviamente “Heat – La sfida”.,Raffaele Chiarulli