Le mutazioni genetiche e la produzione di cibi artificiali hanno causato un incredibile aumento dei casi di parti multi-gemellari, e in un futuro che preannuncia la fine delle risorse che la Terra ha da offrire all’uomo, si tenta di prevenire il problema della sovrappopolazione sottraendo i figli alle famiglie: la criogenesi permetterà ai figli in eccesso di sospendere le loro vite nel crio-sonno, congelandole fin quando il problema sarà risolto. In questo contesto, le sette sorelle (gemelle) del titolo Seven Sisters, sintetizzate nella figura di Noomi Rapace, sono costrette a fingersi una sola persona per sfuggire a tali leggi. Un piano messo appunto dal nonno (Willem Dafoe) permette loro di fingersi una sola donna, uscendo ognuna un giorno alla settimana. Ma il castello di menzogne costruito dalle sette sorelle comincia a crollare il giorno in cui una di loro non fa ritorno a casa.
Il cinema fantascientifico ci ha abituati negli ultimi tempi a film di grande spessore, non solo in termini di qualità filmica, ma anche di contenuti – psicologici e filosofici – che grazie a interessanti soluzioni narrative riescono a raggiungere altissimi livelli. Nel caso di Seven Sisters non siamo neanche lontanamente nei dintorni di film come Arrival, Blade Runner et similia, ma in molte occasioni il ricordo di quella cara, vecchia fantascienza distopica che sa intrattenere senza pretese sembra riaffiorare, e proprio per merito dell’originalità dell’impianto narrativo.
Tommy Wirkola, al suo ottavo film alla regia, maneggia perfettamente una vicenda che sa distinguersi puntando sin da subito sull’approfondimento dei legami famigliari, che muovono le sorelle nei più comuni gesti quotidiani; in un film in cui l’azione vi fa da padrona già dopo pochi minuti, la regia è gestita con precisione e con qualche guizzo di talento (la scena del primo attacco in casa è da applausi). Ma se le atmosfere vogliono riecheggiare opere di grande scuola, il risultato è spesso una sensazione di deja-vù, che sacrifica la credibilità della costruzione distopica e che rimane incompleta, come un abbozzo di una pallida cornice narrativa. Ci ritroviamo quindi a seguire i twist che coinvolgono i protagonisti in modo frenetico, senza sapere nulla del background di alcuni personaggi e delle giustificazioni della creazione di un mondo militarizzato e violento; tale superficialità danneggia inevitabilmente l’empatia con lo spettatore, che si trova peraltro ad assistere a esplosioni e acrobazie senza capire bene le dinamiche d’evoluzione della storia.
Ma la scena è ricca di personaggi, e se il contesto viene definito un po’ troppo frettolosamente, la delineazione dei caratteri delle sette sorelle cattura lo spettatore nel ritmo dell’azione, divisa tra le sorelle che escono per proseguire l’indagine terminata il giorno precedente e l’indagine osservata da casa dalle sorelle superstiti, vissuta in prima persona da ognuna secondo la propria capacità e attitudine. I colpi di scena si susseguono in modo sorprendentemente ben gestito; la scrittura si permette di osare sul finale, offrendo un sotto testo di denuncia politica che non stona troppo, ma non è in linea con il tenore tenuto dal resto del film.
Non ha grilli per la testa Wirkola nella creazione del suo piccolo mondo distopico: con la felice conciliazione di uno script furbo e originale e il mix di azione ben diretta e di grande impatto, cattura lo spettatore in modo molto più sorprendete di quanto ci si aspettasse. Quegli importanti difetti di coerenza permangono, ma passano velocemente in secondo piano e non scalfiscono la logica del puro entertainment per cui il film sembra essere stato fatto.
Letizia Cilea