Dopo 15 anni di matrimonio, per vivacizzare un relazione sempre più stanca, Delphine propone al marito Yvan di aprire il rapporto ad altre avventure. Lui è perplesso, gli sembra una cosa orribile. Fatto sta che, 24 ore dopo, ha però già messo in pratica la proposta; scatenando l’ira della moglie, insensibile alle sue giustificazioni («l’ho fatto per te… e non mi è nemmeno piaciuto»). Lei lo mette alla porta, ma Yvan – che dopo mille fallimentari mestieri sta cercando di avere successo come procuratore sportivo: con un unico, ma promettente calciatore che accetta di farsi seguire da lui – non ha soldi per pagarsi un appartamento; e, dopo qualche giorno di notte su vari divani, non trova più amici che lo vogliano ospitare. Ma la casa coniugale, in fondo, al 20% è sua: la moglie, controvoglia, è costretta a riprenderselo in casa. Ovviamente in via provvisoria: appena si sistema se ne andrà… Ma la convivenza – che crea nervosismo nella figlia adolescente ma fa piacere al figlio più piccolo – è tutt’altro che semplice. Soprattutto perché Delphine – infermiera con un lavoro solido e tanta voglia di rifarsi una vita – ha già messo gli occhi su un ricco e piacente divorziato.
I francesi sfornano tante commedie ogni anno, e parecchie arrivano qui in Italia. In questo caso, forse sfruttando la riconoscibilità di un volto già visto varie volte come Gilles Lellouche (ma non certo famoso, al contrario che in patria dove è una star), apprezzato anche nel recente C’est la vie – Prendila come viene, si è pensato che l’ennesima storia di coniugi che stanno per divorziare ma hanno ancora tanto in comune potesse attirare. E soprattutto divertire, perché non si pensi a un tema analizzato sul versante sociale. Il problema è che Separati ma non troppo – diretto da Dominique Farrugia, attore comico poi diventato sceneggiatore e regista, ma di cui non sono usciti da noi i film precedenti – fa sorridere poco e ridere mai, anche a causa di un umorismo di grana davvero grossa. I caratteri sono caricati (specie quelli laterali, come la migliore amica di lei o l’amico di lui, che guarda caso dopo mille avventure convolerà a nozze proprio con lei), il linguaggio altrettanto sopra le righe e le situazioni spesso giocate su situazioni volgari (e anche parecchio stupide: come la performance “nudista” dell’uomo davanti a suocera e amiche di lei). Mentre le prevedibili “tenerezze” finali suonano stucchevoli e retoriche.
E sì che qualche scena, specie con i figli, poteva funzionare: come quando il ragazzo dà 10 euro al padre squattrinato o l’incontro a quattro con il preside dove i più maturi sembrano i figli, o ancora la cena in cui i due figli chiedono mamma e papà come si sono conosciuti. Ma sono scene brevi che non incidono: e il tutto ha sempre il sentore del già visto e sentito troppe volte, a partire dall’escalation di vendette tra i due. Nell’ipotesi migliore, perché in altri momenti del film onestamente si preferirebbe essere altrove. Come nella citata scena, già imbarazzante di suo cui non serviva anche il selfie esibizionista. Non si vede niente, per carità: ma che tristezza per un ottimo commediante (peraltro non nuovo a commedie grossolane) come Lellouche, che pure si impegna al massimo ma che vorremmo ritrovare in ben altri film.
Antonio Autieri