Sissi und Ich
Dopo la trilogia indimenticabile con Romy Schneider, dopo due serie internazionali e una manciata di altri film (tra cui il recente Il corsetto dell’imperatrice) anche Berlino fa il suo omaggio a Elisabetta d’Austria, icona di femminilità drammatica che ogni volta trova un nuovo volto e una nuova lettura. Qui è quella che ci trasmette lo sguardo, prima sospettoso, poi sempre più conquistato, di Irma, contessa 42enne chiamata a diventare la dama di compagnia di un’imperatrice ormai avanti negli anni, terrorizzata dall’idea di invecchiare, ma sempre magnetica e affascinante. Irma, da sempre vessata da una madre che non la ama nè la stima, dapprima fatica a inserirsi nel circolo bizzarro che Sissi ha creato nella sua casa sull’isola di Corfù, dove si è sempre a dieta (ma in compenso vengono elargiti con abbondanza lassativi e cocaina per il tono…), si fa ginnastica e, con la complicità del fratello dell’Imperatore si mettono in scena spettacoli osé. A poco a poco, però, Irma, come tutti, cede al fascino di Sissi, anzi, ne diventa quasi dipendente, al punto da seguire la donna che ama nelle sue fughe dalla corte e dai doveri, fino al giorno fatale del 1898 in cui Sissi morirà. È la storia di un innamoramento, forse di un’ossessione, raccontata anche grazie ad un uso disinvolto, ma riuscito, di canzoni moderne e di costumi che giocano con tutti gli stili, come a sottolineare l’eternità del mito (o forse dovremmo dire brand?) di Sissi, pronto a rivivere in questa ennesima rivisitazione.
Golda
Ottobre 1973. Mentre Israele affronta la guerra dello Yom Kippur (l’attacco combinato di Siria e Egitto che, a pochi anni dalla vittoriosa guerra dei 6 giorni, rischia invece di portare alla distruzione del paese), Golda Meir, primo ministro donna che ha vissuto sulla sua pelle le persecuzioni in Europa, deve prendere decisioni sofferte, ma anche affrontare, di nascosto da tutti, la sua personale battaglia contro un tumore. Scegliendo un arco temporale limitato, le poche, drammatiche settimane della guerra, il regista Guy Nattiv mette a fuoco la donna e la politica usando un genere, quello del film di guerra, ma piegandolo al servizio di un ritratto profondo e partecipe. Seguire Golda per corridoi e scale che la portano dalle sale di comando agli ambulatori (passando per l’obitorio dove i cadaveri si accumulano come sul campo di battaglia) è scendere con lei negli abissi dell’angoscia per la propria distruzione e quella del suo popolo. “Sentire “ la guerra attraverso le voci degli uomini in battaglia senza mai vedere nulla è un esercizio non solo stilistico, ma una scelta che rispecchia l’esperienza umana di Golda, donna in un gabinetto di guerra di soli uomini, politica di straordinario talento (valgono da soli il film gli scambi con l’Henry Kissinger di Liev Schreiber), capace di prendere sulle spalle il peso di errori non suoi pur di salvare il suo Paese.
Helen Mirren regala l’ennesima interpretazione indimenticabile, trasformandosi in Golda Meir e ridando allo spettatore tutta la tenacia, l’umorismo e la forza interiore di una donna che ha segnato la storia.
L.C.R.
Ingeborg Bachmann – Journey Into the Desert (nella foto)
La grande Margarethe Von Trotta torna a Berlino con un affettuoso tributo a una delle più grandi poetesse del secondo dopoguerra. Ingeborg Bachmann (Vicky Krieps) a fine anni 50 è già un nome affermato della poesia e della letteratura contemporanea. L’incontro a Parigi con il drammaturgo svizzero Max Frisch le regala l’illusione di aver trovato l’amore in un uomo dalla stessa levatura intellettuale e che l’ammira. Ma il clima nordeuropeo non soddisfa la poetessa, che decide di trasferirsi a Roma, anche dopo aspre situazioni con Frisch. Se la venuta nella capitale italiana dà a Ingeborg il piacere di una vita rilassata in un clima mite (oltre l’orgoglio di essere stata scelta da Giuseppe Ungaretti per tradurre in tedesco le sue opere), l’arrivo di Frisch che decide di raggiungerla aumenta la distanza tra i due invece che colmarla.
La Von Trotta realizza un ritratto partecipe e commosso della grande poetessa (grazie anche alla splendida interpretazione della Krieps), con il suo talento, le sue aspirazioni ma anche i suoi limiti e ossessioni. Veramente rimarchevole la ricostruzione delle scenografie dei costumi del tempo.
Totem
L’ambientazione del film di Lila Avilés è una grande casa messicana dove, nel corso di una lunga giornata, famiglia e amici si ritrovano per un duplice rito: è il compleanno del giovane padre e pittore Tona, ma siccome sarà probabilmente l’ultimo a causa del cancro che lo ha colpito, è anche una cerimonia di addio. La frenesia dei preparativi e la spontaneità della celebrazione rimandano a una dimensione arcaica del titolo. Tona è inizialmente invisibile, protetto in una stanza dove cerca di raccogliere le forze necessarie per la cerimonia in cui sarà circondato di tutto l’amore e l’affetto prima del suo viaggio finale. La Avilés accumula segni, cerimonie pseudo magiche, forme di vita girando praticamente in unità di tempo e di luogo. Ma tutto questo aggiungere, in uno spazio ristretto come quello della casa, alla fine fa mancare l’aria a chi guarda, stordito dai dialoghi e dai primissimi piani.
B.M.