Self/Less (id.)
Usa 2015 – 117′
Genere: Fantascienza
Regia di: Tarsem Singh
Cast principale: Ryan Reynolds, Matthew Goode, Ben Kingsley, Natalie Martinez
Tematiche: morte, tempo, immortalità, scienza
Target: sopra i 14 anni

Un milionario in fin di vita riesce a farsi trasferire la propria coscienza nel corpo di un uomo molto più giovane.

Recensione

Film pasticciatissimo diretto con il suo solito stile patinato da Tarsem Singh, il regista dei dimenticabili Biancaneve e Immortals. L’idea di partenza è l’ennesima declinazione di un tema cardine della fantascienza classica, l’immortalità ovvero la lotta contro il tempo e la morte. Un ricco manager d’azienda anziano e cinico (Ben Kingsley), affetto da una malattia incurabile, decide di affidarsi alle cure di un giovane scienziato che non promette l’immortalità a livello corporeo, bensì a livello di coscienza con una sorta di trasferimento neurologico nel corpo di un altro uomo. Simile assunto di partenza del recente e non riuscitissimo Trascendence, dove un Johnny Depp genio della scienza finiva a livello cerebrale in un enorme cervello di un computer. Singh fa peggio del collega di Transcendence: innanzitutto per un’incapacità degli sceneggiatori, i due fratelli spagnoli David e Alex Pastor, di rendere credibile una storia che già parte col piede sbagliato.
Qualche brevissima scena per raccontare, a mo’ di prologo, il personaggio di Damian anziano (Ben Kingsley ridotto a poco più di una comparsa) e poi, senza nemmeno il tempo di abituarsi al colpo di scena, ecco Ryan Reynolds che si gode una nuova giovinezza: gioca a basket, si butta nella vita notturna, si porta a letto una tipa. Tutto ovvio e scontato e troppo semplice. E non aiutano certo lo spettatore la prova di Reynolds, particolarmente ingessato, né alcune terribili e ripetitive scelte registiche, come quelle di raccontare attraverso dei flash, gli effetti collaterali sul giovane e nuovo Damian del trapianto di coscienza. Già perché, un po’ come in un film dal titolo affine (Limitless), il protagonista si deve pure imbottire di pillole antirigetto. Poi il rigetto arriva e il film prende un’altra strada, anzi troppe strade: dapprima thriller tradizionale con un paio di sequenze di notevole inverosimiglianza (un violento assedio casalingo), poi si va in bambola completamente quando si arriva a toccare le corde del melodramma. Operazione nel complesso confusa, che funziona poco sia in termini di attese dello spettatore sia come puro intrattenimento di genere: la regia di Singh, che confeziona un film ancora più patinato di quello che era stato Biancaneve, è debole, priva di idee forti e non riesce a imprimere svolte in una narrazione che alla fine risulta ovvia; la sceneggiatura mette troppa carne al fuoco senza mai avere il coraggio di approfondire con dignità temi forti come la morte e il tempo. Il cast è irrilevante: i cattivi sono macchiette tagliate con l’accetta; Reynolds, altrove attore discreto, qui centra la sua prova peggiore, a disagio, lui già che fatica con uno, a interpretare due personaggi. Anzi, peggio: un personaggio dentro l’altro.

Simone Fortunato