Il giovane Benjamin, alla vigilia del suo 18° compleanno si reca a Buenos Aires, a cercare il fratello maggiore Angelo. Di cognome entrambi fanno Tetrocini, e Angelo quel cognome lo interrompe a metà come tutto il rapporto con la sua famiglia, facendosi chiamare da tutti semplicemente Tetro (titolo originale del film). L’uomo, scrittore mancato – che si adatta a fare il tecnico delle luci in teatro – salvato dalla pazzia da una psicologa poi diventata la sua donna, è scappato di casa tanti anni prima per colpa del padre Carlo, direttore d’orchestra famosissimo e genitore orrendo. Al fratellino – cui lo lega solo il padre: le madri erano diverse, ed entrambe morte presto – promise anni prima di venirselo a prendere, un giorno. Promessa non mantenuta: ragion per cui è Benjamin, tanto tempo a dopo, a presentarsi. Ma è ben accolto solo dalla “cognata” Miranda: Tetro, apparentemente, di lui non vuole saperne e non riesce neppure a chiamarlo fratello. Perché si comporta così? Che cosa vuole rinnegare o dimenticare? Solo l’incidente in cui morì la madre, per colpa sua? Forse c’è dell’altro nel suo temperamento ombroso, scostante, pronto all’ira.,Francis Ford Coppola racconta in Segreti di famiglia una vicenda intricata e piena di colpi di scena (anche troppi), in uno splendido bianco e nero dove spiccano il volto sofferto di Vincent Gallo (finalmente tornato ai livelli di un tempo, degli inizi in Palookaville o The Funeral – Fratelli) o il volto della bella Maribel Verdù. Il nodo, come spesso nel cinema moderno, è il rapporto con il padre, qui figura violenta ed egoista come poche: tanto da spegnere le velleità del figlio aspirante scrittore (“in questa famiglia c’è spazio per un solo genio”) e da non farsi scrupoli neppure a rubare la sua fidanzata. La storia si segue con interesse e tensione, anche se procede in momenti nodali con situazioni ricercatamente brusche (troppi incidenti, in genere brutto segno quanto a fantasia…). Assolutamente da non rivelare il colpo di scena finale che cambia di segno a gran parte della storia e dei rapporti tra i personaggi. Purtroppo annegato in una cornice parallela – quella della rappresentazione della storia autobiografica di Tetro, “rubata” e messa in scena da Benjamin – che risulta confusa e fin troppo legata ai cliché della società letteraria e artistica (un po’ finto il personaggio della potente donna critico letterario interpretata da Carmen Maura), e poco funzionale alla temperatura emotiva del film. Una trama da melodramma che però ha un ritmo troppo lento e risulta raggelato: ci voleva forse un Almodòvar per una storia potenzialmente così forte.,E quando arriva il colpo di scena, il film si è ormai un po’ spento per via dell’ambizione di Coppola di dire troppe cose, perdendo di vista il cuore della storia; nonostante una bella sequenza finale di rappacificazione. Rimane un bell’esercizio di stile, e un racconto certo “sentito” dall’autore (Coppola lo sceneggia, cosa rara per lui che in genere è solo regista dei suoi film), che ormai ha scelto la pericolosa e solipsistica strada dell’autarchia e della distanza da quella Hollywood con cui ha litigato per decenni. Ma che gli ha permesso anche di realizzare capolavori come Il padrino e Apocalypse Now.,Antonio Autieri,