Ci sono film di cui sarebbe istintivo diffidare, per una serie di clichè esposti quasi programmaticamente. Prendiamo Scialla!, debutto alla regia dello sceneggiatore Francesco Bruni (dalla consolidata carriera, soprattutto a fianco di Paolo Virzì, ma anche per tanti altri registi e anche per la tv, si pensi al Commissario Montalbano). In questa commedia brillante e veloce troviamo un professore di mezza età alla deriva, un ragazzo vitale, coatto e sbruffone, un’ex pornostar simpatica e di buon cuore, un boss che ama la cultura e i film d’essai, due baristi invadenti ma affabili e perfino un bidello ironico e saggio. E poi slang tipico degli adolescenti, una scuola dove si fa tutto fuorché studiare, professori dalle buone intenzioni e dalle amare frustrazioni, errori in serie ma anche buoni sentimenti…

Non solo i caratteri, ma anche l’assunto di partenza della storia sembra già visto mille volte: Bruno, professore che ha abbandonato la professione, si divide tra ripetizioni private senza entusiasmo e l’attività – di cui si vergogna – di ghost writer per libri di serie B (l’ultimo, l’autobiografia di un’ex pornostar). Lui, cinquantenne in crisi con la vita e veneto in una Roma che non gli è ostile ma in cui sembra un corpo estraneo, si lascia vivere. Rimaniamo un po’ perplessi quando scopriamo che 16 anni prima aveva avuto un figlio in una notte di passione rapidamente dimenticata, da una ragazza poi sparita dalla sua vita: il tutto ci suona non del tutto credibile. Anche se ci crediamo anche per merito del protagonista: Fabrizio Bentivoglio è formidabile come sempre nella parte di Bruno, che si butta timoroso in questo rapporto con Luca, questo adolescente da tempo suo allievo (svogliatissimo) di ripetizioni private, che alla scuola preferisce far casino sempre e comunque; e che non sa di avere un padre. Quando la madre parte per sei mesi e affida Luca proprio al padre, c’è da sospettare che il segreto emergerà presto… E che l’uomo di mezza età demoralizzato e depresso, che non chiede più nulla alla vita, sarà risvegliato dal ragazzo vitale e sfrontato. E viceversa.

Poi però, pian piano, i vari clichè sullo schermo prendono una forma sempre più convincente. Per un’evidente perizia nella scrittura (che è ovviamente il lato forte di Bruni, che appunto nella scrittura ha finora lavorato e brillato) ma anche per una regia sicura, pulita ma anche mai piatta, che sa variare toni e ritmi, fermarsi quando può e accelerare quando deve. E per una direzione degli attori che prende il meglio da tutti: se di Bentivoglio si sa tutto, e se Barbora Bobulova da alcuni film non sbaglia un colpo, dell’esordiente Filippo Scicchitano era inimmaginabile sospettare quanto bucasse lo schermo. Si direbbe che Bruni abbia spiato non poco i set dell’amico Virzì.

Ma fin qui ci fermeremmo all’opera prima più matura del solito (perché ci troviamo di fronte a un esordiente sui generis, che è nel cinema da una vita), simpatica e brillante, non perfetta ma divertente; per esempio, nelle gag sulla convivenza problematica per le reciproche diversità (anche linguistiche) dei due protagonisti. Il punto di forza del film è invece nel pudico disvelamento di desideri sopiti e mai immaginati: la paternità per Bruno, un padre per Luca. Desideri veri per personaggi veri, non solo “ben scritti”, cui ci si affeziona. Vite raccontate e non edulcorate: l’uomo sembra sempre sul punto di crollare, il ragazzo pronto a esplodere o fare errori irrimediabili. E quando ne fa uno bello grosso, irrompe un personaggio apparentemente minore ma che dà la sterzata decisiva al film. Un giovane boss arrogante (interpretato da un eccellente Vinicio Marchioni) ma anche amante di una cultura appresa sui banchi di scuola. Un’educazione che sembrava solo un vezzo stravagante e che invece aveva buttato i semi in un terreno meno arido di quanto si potesse pensare. E che al momento giusto farà sentire, a sorpresa, i suoi benefici effetti.

Antonio Autieri