Rosso è il colore del sangue. Rosso è il colore del martirio. Con un vestito rosso Santa Scorese è stata sepolta. Aveva 23 anni, nel 1991, quando un ragazzo instabile mentalmente la accoltellò, dopo mesi di persecuzione e di pedinamento. Alessandro Piva (regista di Lacapagira, Mio cognato)  sceglie una storia forte e insolita per il suo lungometraggio e porta al cinema Santa subito. Vincitore del Premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma (dove gareggiavano Martin Scorsese, Edward Norton e tanti altri) è il primo lungometraggio dei dieci titoli prodotti da Fondazione Con il Sud e Apulia Film Commission.

Il cielo splendente, il mare blu di Bari, le panchine occupate da innamorati restituiscono al documentario il mondo quotidiano, pieno di naturalezza e spontaneità, che una ragazza come Santa abitava. Non era una persona “anormale”, Santa. Amava la medicina, si interessava ai suoi amici, soprattutto a quelli che non la pensavano come lei. Viveva in una realtà semplice, quella della periferia di Bari, dove tutti si conoscono e dove ha scoperto quanto può essere importante rischiare per Dio. Le pagine del suo diario, lette da una brava Federica Torchetti («sono sicura che il Signore chiede e poi dà»), sono intime, a volte per pudore non si vorrebbe ascoltarle, ma restituiscono parte del mondo interiore di Santa (che avrebbe voluto consacrarsi nelle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe) e hanno facilitato l’apertura del processo di beatificazione nel 1999 fino alla convalidazione avvenuta nel 2000 (ora è “Serva di Dio”).

La scelta di Alessandro Piva è forte: quei testi sono pieni di passione e di umiltà: «Ho deciso di raccontare questa storia – spiega Piva nelle note di regia – e di farlo attraverso le voci di amici e parenti di Santa, chiedendo loro di parlarne come fosse ancora in vita, tornando agli anni in cui Santa progettava con entusiasmo il suo futuro. Questa storia è dedicata proprio a chi rimane solo con il suo dolore, dopo lo sgomento di un lutto subitaneo e assurdo».

Il film, dalla durata di poco meno di un’ora, spiazza per la diversità di voci (toccanti soprattutto quelle della sorella e dei genitori, ma anche dei religiosi che ne accompagnarono la vocazione): non osanna la religione come unica via per la felicità, né ironizza sulla devozione e sulla scelta, controcorrente, di darsi totalmente a Dio. Si sbaglia, a nostro parere, a voler rinchiudere questo documentario nella rosa di film che mettono al centro il “femminicidio”. Certo, Santa Scorese è stata uccisa perché si negava a un uomo. Ma un uomo che, pur avendo fatto di Santa un’ossessione, non era stabile mentalmente. Santa subito è piuttosto un film che rivela la profondità delle inquietudini di una ragazza, del suo desiderio di rendere la vita bella, anche a costo del sacrificio, e dell’assenza che il suo omicidio genera. Un’assenza che è in realtà una presenza continua nella vita dei familiari e delle persone, anche distanti dalla Chiesa, che hanno trovato nell’amicizia di Santa un conforto e un amore gratuito.

Emanuela Genovese