La liberazione italiana è avvenuta, e pochi giorni dopo il 25 aprile 1945 un uomo e una donna vengono fucilati sbrigativamente alle spalle. Sono Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, due star del cinema italiano del periodo fascista. E con il fascismo compromessi, soprattutto lui, tanto da essere accusati di aver partecipato alle torture dei partigiani da parte della famigerata banda Koch.,Il film di Marco Tullio Giordana (“Sanguepazzo”, tutto attaccato), che racconta l’amore, i litigi, i vizi (la dipendenza dalla cocaina, le perversioni sessuali) e la morte dei due celebri attori), sposa la tesi innocentista: sicuramente Valenti era vicino al fascismo, ma più per indole superoministica che per adesioni a idee che invece il personaggio interpretato con enfasi da Luca Zingaretti mostra di non apprezzare. Disperezzando decisamente gli eccessi e le violenze di alcuni pezzi grossi del regime, a cominciare proprio dal terribile Pietro Koch (che qui, in realtà, è a metà tra lo psicopatico e la macchietta). La Ferida, in particolare, è vista con simpatia: una donna spesso in balia dei mutamenti d’umore del suo uomo e dal grande cuore (per esempio, con il regista gay e perseguitato interpretato da Alessio Boni, che lei protegge a più riprese).,Su un episodio dimenticato e interessante della recente storia italiana, se è apprezzabile lo sguardo non ideologico su quel pezzo di storia d’Italia (tanto da attirare su Giordana, regista di sinistra, le accuse di revisionismo e tradimento della lotta partigiana) lo è molto meno la qualità cinematografica del film. Che risulta innanzi tutto troppo lungo (due ore e mezza on si giustificano neppure con l’arco temporale degli eventi), stilisticamente sciatto (si sente la derivazione televisiva); inutilmente eccessivo (disturbano certe scene morbose: a Giordana, ottimo regista, servono certi mezzi, che oltre tutto in tv gli creeranno problemi?), perfino mal recitato da molti attori. A cominciare da Monica Bellucci, che si salva in pochi momenti (ridicoli i suoi gemiti nelle scene d’amore) e, purtroppo, dall’altrove ottimo Alessio Boni. Si salvano davvero solo Luca Zingaretti e Luigi Diberti (il potente direttore generale per la cinematografia Luigi Freddi). Troppi, soprattutto i momenti morti, di stanca narrativa, che non permettono allo spettatore di appassionarsi a un caso storicamente e umanamente interessante; troppi i personaggi minori che distolgono l’attenzione (la ragazza di Koch, la giovane attrice Lavinia Longhi, con cui la Bellucci si scambia l’ormai famoso e scandaloso bacio saffico: altra scena gratuita).,Dal punto di vista storico, oltre tutto, Giordana si prende molte libertà: per esempio, inventando la figura del regista omosessuale Golfiero, che i due proteggono e salvano, il riscatto dalla precedente adesione al fascismo (Valenti in realtà ci appare, ed era, un anarchico vitalista, la Ferida una donna innamorata che avrebbe seguito il suo uomo ovunque) può apparire falsa, dovendosi appoggiare a episodi inventati. Come se la loro innocenza, che sembra veritiera a sentire testimoni e storici, non bastasse a mondarne la memoria, e occorresse un surplus di elementi fantasiosi. L’esito appare poco convincente: non bastava, se era questo lo scopo dell’autore, raccontare la loro vera storia?,Antonio Autieri

Sanguepazzo
L’arresto e l’esecuzione di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, celebri attori cinematografici degli anni 40, condannati dai partigiani per complicità con il regime fascista.,