Inizia con un funerale, quello della sorella Njenna, il viaggio nella memoria dell’anziana Christina che torna nella sua terra d’origine per il lutto insieme a un figlio e a una nipote. Non vorrebbe essere lì, non sembra neppure provare dolore. Quella terra, la abbandonò molti anni prima, come vediamo da una storia che torna indietro a quando lei era una ragazzina: appartenente al popolo lappone dei sámi, discriminati in Svezia, Ella-Marja – che poi cambierà il nome appunto in Christina – desidera farsi accettare dagli altri, mentre è costretta a vivere la segregazione del suo popolo, a partire da una scuola riservata a loro dove si insegna la lingua svedese e dove gli studenti vengono “rieducati” e civilizzati. Le umiliazioni non mancano, da insegnanti razzisti che tarpano il desiderio di proseguire gli studi («le ricerche dicono che non ce la fate, il vostro cervello è troppo piccolo») e da coetanei malevoli e a volte violenti: la ragazza decide di andare a vivere a Uppsala, in cerca di una vita diversa.
Una storia sicuramente poco conosciuta da noi, quella della segregazione dei sámi in Svezia: un piccolo popolo, non più di 75.000 persone, ma con una loro cultura e una loro lingua; in realtà divisi tra quattro stati, oltre alla Svezia, la Norvegia (dove sono ancora di più), la Finlandia e la Russia. Allevatori di renne, pescatori, cacciatori, nomadi: questo almeno fino alla Seconda guerra mondiale. Poi la modernizzazione ha raggiunto, parzialmente, anche la società lappone, ma una certa ritrosia a omologarsi – favorita anche dal disprezzo dei “civilizzati” – e la fierezza delle proprie tradizioni e dei propri costumi è rimasta, soprattutto tra gli anziani. Ma i giovani non è detto che siano fieri del proprio popolo: e così Elle-Marja per tutta la vita cerca di cancellare chi è, pur di farsi accettare. Non senza scottarsi più volte.
Anche la giovane regista Amanda Kernell (al suo primo film “lungo”) discende dal popolo lappone, come immaginabile vista l’adesione sofferta al tema del film. Sami Blood, premiato dal Parlamento Europeo con il premio Lux che chiede un certo impegno a spettatori non abituati a cadenze da film da festival, ma che unisce a uno stile rarefatto – dove le immagini contano più delle parole – una forza e un’urgenza narrativa a tratti notevole. La protagonista, la giovane Lene Cecilia Sparrok, impressiona per la durezza incisa nei tratti fisionomici, quasi una corazza contro il mondo. E alla fine, ci colpisce il riemergere di tutto quanto era stato costretto a forza dentro di sé: per Ella-Marja/Christina quel viaggio nella memoria, e nel tornare alla sua terra, non sarà indolore. E una sommessa e commovente richiesta di perdono alla sorella, coniugata con una faticosa salita a una montagna che sa di espiazione, sembrano segnare un riconciliarsi in extremis con la propria storia e la propria identità.
Antonio Autieri