I film interpretati da Jackie Chan hanno tutti una struttura rigidamente divisa in tre parti. Nella prima si costruisce la vicenda, che in genere inizia con un attentato, un omicidio o un rapimento. Chan, da solo o in compagnia di un personaggio folcloristico con cui infilarsi in situazioni improbabili quanto ridicole, si getta nella ricerca del o dei colpevoli. Nella seconda parte (che è l’ultimo quarto d’ora di un film che in genere dura un’ora e mezza), succede l’inverosimile: Jackie Chan combatte contro una quantità impressionante di cattivi che sono armati di tutto punto, mentre lui utilizza solo quello che trova a disposizione sul momento. Esempi classici delle sue armi sono: un carrello del supermercato, una scala, un impermeabile, un volante d’auto, una pentola, ma tutto può servire allo scopo di mettere fuori combattimento il criminale e far rimanere a bocca aperta il pubblico. La seconda parte si conclude con la fine del film, i buoni vincono e i cattivi muoiono o vengono assicurati alla giustizia. La terza parte, che per molte persone è il vero motivo per cui si guardano i film di Jackie Chan, sono i titoli di coda che scorrono mostrando le scene sbagliate, nelle quali Chan sbaglia a pronunciare le battute o a eseguire le mosse (Jackie Chan non ha mai usato controfigure, e per questo si è rotto le ossa in più punti durante la sua carriera). “Rush Hour Missione Parigi”, che è il terzo dei Rush Hour interpretati con l’attore di colore Chris Tucker, naturalmente non esula dalle regole sopra enunciate anche se la formula comincia a mostrare un po’ la corda. Come il secondo episodio, il film è girato parzialmente all’estero (là Hong Kong, qui Parigi) e questo dovrebbe dare lo spunto per una serie di battute sul conflittuale rapporto tra americani e francesi. In realtà la cosa più che divertente sembra grottesca e le scene giocate su questo contrasto sono le meno divertenti del film. Ma quando Jackie Chan si scatena, è sempre un bello spettacolo da vedersi.,Beppe Musicco