Già la semplice lettura di una sintesi della trama del film di Ferzan Ozpetek, il primo girato nella sua Turchia a quasi vent’anni da Harem Suare, ingenera più di un sospetto. Questo Orhan Sahin è uno scrittore, ma in realtà è l’ennesimo scrittore famoso per un solo libro ormai lontano nel tempo, ovvero una raccolta di favole anatoliche. Ora fa l’editor, a Londra dopo aver lasciato da tempo la Turchia (primo dettaglio scopertamente autobiografico), e si trova a dover tornare dopo tanti anni a Istanbul per aiutare Deniz Soysal, famoso regista di cinema (e qui siamo allo sdoppiamento autobiografico di Ozpetek nei due personaggi principali). Orhan si ritrova così coinvolto nei ricordi che inevitabilmente riemergono e anche nella vita dell’affascinante regista e scrittore (il cui romanzo pesca a piene mani nella sua vita e cita le persone reali): a cominciare da Neval e Yusuf, una donna e un uomo cui il regista è molto legato. Poi Deniz scompare misteriosamente, dopo una festa alquanto alcolica: è scappato? Si è suicidato? È stato ucciso? Tutte le ipotesi sono aperte… Nell’attesa e nella speranza di un suo ritorno, Orhan medita sulla sua vita, sui propri sentimenti che credeva esser riuscito a sopire, sul futuro che lo attende…

Orhan è sicuramente l’alter ego, anche per una certa somiglianza fisica, di Ozpetek di cui però deve echeggiare anche qualcosa nel regista-scrittore (e Rosso Istanbul è stato, prima di diventare un film, il primo romanzo del regista turco che vive da tanti anni in Italia). Il tono del film, in cui Istanbul in realtà si vede solo a tratti e abbondano case eleganti e feste finto allegre e deprimenti, è cupo, angoscioso, ma più per inerzia di ritmo e di narrazione che per capacità di suscitare inquietudine. Prevalgono le frasi sentenziose, davvero insopportabili anche per come vengono pronunciate da doppiatori (il film ovviamente è stato girato in Turchia con attori locali, famosi in quel Paese ma sconosciuti da noi, a parte Serra Yilmaz sempre presente nei suoi film) che deprimono ulteriormente l’opera: «Chi guarda al passato non vede il presente», «I legami non fanno per te», «La mia vita è un bluff», «Lui ha bisogno di mentire per essere sincero», «Tu potresti essere l’uomo della mia vita»… E ci fermiamo qui. Il problema è che  Ozpetek negli ultimi tempi ha dimostrato di avere una certa mano felice nella commedia, gaya e alla Almodovar, mentre sul dramma – nonostante i consensi dei primi film – ci sembra che mostri sempre un po’ la corda. Ma in altri casi le vicende narrate avevano comunque un minimo di interesse e di aggancio con la vita, grazie a una scrittura più tesa e avvincente. Qui le ambizioni – tra silenzi e metafore, come la nuotata nel Bosforo – schiacciano una storia confusa che fa davvero poco per avvicinare lo spettatore, anche per colpa di alcuni personaggi mal scritti (Yusuf) e generalmente respingenti (il regista, il fratello pittore frustrato e sopra le righe, l’anziano scrittore omosessuale, le zie spregiudicate). Uno dei più interessanti è Neval, la migliore amica del personaggio che scompare, ma non tanto da lasciare un segno nella storia; un altro potrebbe essere la sorella del protagonista, che spunta fuori troppo tardi e ha pochissimo spazio. Tra i punti deboli, un colpo di scena che salta fuori in maniera davvero meccanica: per svelare il dramma segreto di Orhan, lui stesso accende il computer dell’amico regista e spunta fuori un articolo che lo riguarda… Come innesco della svolta del film, che dovrebbe portare alla rinascita di un uomo che aveva sepolto i sentimenti a causa di un grande dolore, si poteva escogitare di meglio. Ma di scene infelici il film ne è pieno.

Se non portasse la firma di Ferzan Ozpetek, Rosso Istanbul – classico film in cui una buona parte è costituita dal protagonista che guarda nel vuoto, assorto nei suoi pensieri – rimarrebbe uno dei tanti titoli di altre cinematografie che non arriverebbe mai sui nostri schermi. Così rimarrà il passo falso, sicuramente pieno di buone intenzioni e sincerità (e con sprazzi di buona tecnica, con qualche scena curata: la cena con i parenti dopo la scomparsa, scorci di panorami), di un autore magari sempre un po’ sopravvalutato, ma che comunque in altre occasioni ha fatto indubbiamente di meglio.

Antonio Autieri