Una delle tragedie più celebri e conosciute di Shakespeare, nonché una delle storie d’amore più archetipiche della letteratura occidentale, la love story sfortunata di Romeo e Giulietta, trova qui un nuovo elegante adattamento grazie alla penna di Julian Fellowes, sceneggiatore di cinema e televisione, uno dei pochi autori inglesi che probabilmente non si sarebbe sentito in imbarazzo a “rimaneggiare” il Bardo. ,In realtà la pellicola di Carlo Carnei, italiano da molti anni trasferitosi a Los Angeles, si mantiene assai fedele alla tragedia shakespeariana, valorizzando al massimo le ambientazioni lombarde (gli esterni sono stati girati a Mantova) e puntando tutto sulla giovane età dei suoi protagonisti, davvero adolescenti al loro primo amore: in particolare Hailee Stenfeld, che ne Il Grinta aveva dimostrato tutta la sua tempra, e che qui tradisce tutta la fragilità, l’inesperienza e la goffaggine, ma anche la folle determinazione dei suoi 14 anni. ,Se Douglas Booth, un veterano della televisione inglese in costume, è un Romeo quasi troppo bello per essere vero (e questo per certi versi rende più credibili le palpitanti incertezze di una Giulietta poco sicura del suo fascino), anche gli altri personaggi della storia, da Mercuzio al timido Benvolio, si assestano su un’età adolescenziale che per certi versi giustifica anche le forzature “teatrali” del testo shakespeariano, anche se non sempre tutti sembrano a trovarsi a loro agio con le complesse battute del testo (qui, ancor più che altrove, Shakespeare esprime tutto il proprio barocco amore per il linguaggio). Mentre Damian Lewis regala al padre di Giulietta una vena di follia gigioneggiante che talora mostra tratti di inquietante violenza, di sicuro il migliore dei comprimari resta Paul Giamatti: il suo frate Lorenzo è un misto di saggezza inascoltata, fiducia nella Provvidenza (qui decisamente contorta) e sincero affetto per il suo protetto Romeo.,E se qualcuno potrebbe lamentarsi di fronte a uno Shakespeare fin troppo shakespeariano (a confronto dell’esaltata e psichedelica quanto indimenticabile versione di Baz Luhrmann con Leonardo Di Caprio), la storia in realtà si prende un paio di sottili quanto significative libertà, da un lato concedendo alla spettatore un’onirica quanto irreale possibilità di lieto fine, dall’altro rendendo ancora più dolente e drammatico il finale sulla scorta di una suggestione che era già nel balletto di Prokofiev.
Laura Cotta Ramosino