Elton John entra vestito da diavolo con tanto di corna, ali e glitter, in un centro di disintossicazione e si racconta nella forma di seduta di psicoanalisi. Racconta la sua vita: l’infanzia, un padre severo e disinteressato a lui, la madre egoista e invece una nonna affettuosa. La passione per la musica, gli studi di musica classica e il rock n’roll e poi il provare a diventare qualcuno. L’incontro con l’amico Bernie (che gli scriverà i testi per una vita intera), la swinging London, la scoperta dell’omosessualità e poi: il successo globale, la tossicodipendenza, l’alcolismo, la sessuomania, la depressione, la solitudine. È la storia di un uomo che per vendere la propria musica si è costruito una maschera che poi non mai riuscito a smettere di portare.

Più che un biopic tradizionale questo film è un vero e proprio musical al 100%. Moltissimi numeri musicali sulle note ovviamente dei pezzi di Elton John, in cui non si cerca però l’effetto karaoke (come nel recente Bohemian Rapsody con cui il confronto è inevitabile) o la ricostruzione storica, ma dove la musica viene inserita nella narrazione e cantata dai personaggi per andare ad approfondire i loro stati d’animo. A differenza di altri film del genere qua c’è un perfettto e originale amalagama tra narrazione e musica, dove la musica di Ethon John viene coperta di nuovo significato e va a raccontare il personaggio protagonista. Il risultato è un film meno esaltante di altri (Bohemian Rapsody ad esempio) ma molto più intenso, sincero e intimista (con qualche eccesso forse evitabile: sorprende, per esempio, in un film hollywoodiano popolare una scena di sesso, tra Elton e lo scaltro manager John Reid, abbastanza esplicita). Perché quest’uso geniale della musica fa comprendere l’uomo dietro la maschera, che gridava aiuto con la sua musica.

Dexter Fletcher come regista fa un gran lavoro, lui che di musical è esperto (era anche stato chiamato a terminare il già citato Bohemian, dopo il licenziamento di Bryan Singer) e mette in scena in modo originale e vispo, sempre sul baratro della trovata di cattivo gusto, come peraltro è sempre stato il protagonista. Come già detto i numeri musicali sono il punto di forze a anche nelle coreografie e nella messainscena sono spettacolari almeno tre numeri da evidenziare: “Saturday night all right for fight” che richiama alle atmosfere dei film con protagonista Elvis, “Crocodile Rock” dove la platea inizia a fluttuare e soprattutto “Rocketman” la canzone che da titolo al film e che viene utilizzata come immagine dello stato d’animo di Elton John. Ecco, quel numero musicale è un pezzo d’alta eleganza e inquietante tristezza.

Se questo spettacolo intimista funziona però è merito anche del protagonista, il giovane attore gallese Taron Egerton (emerso grazia alla saga di Kingsman, il cui regista è tra l’altro il produttore di questo film). Egerton è qua in un’interpretazione incredibile, dà veramente corpo a Elton John non puntando tanto su una somiglianza macchiettistica (ancora Bohemian) quanto più su una reale introspezione. Perciò canta e balla recitando sempre, dovendo essere costretto a passare in pochi secondi dalla depressione all’euforia totale. Un’interpretazione veramente forte, piena di sfumature. Un motivo in più per vedere il film.

Quindi il film è molto consigliato, è un gran film, coinvolgente e originale nella messa in scena e nella sincerità con cui racconta il proprio tema. Unico difetto, il finale un po’ tronco e troppo consolatorio rispetto a tutto il dramma sincero del film. Ma d’altronde, il grande Elton è ancora vivo e nonostante tutto non poteva farci brutta figura.

Riccardo Copreni