Un film sul precariato dei sentimenti. È questa l’idea alla base del film di Anna Negri. Un precariato di sentimenti fatto di fragilità caratteriali, incertezze lavorative; maternità deluse. Strutturando il film come un falso documentario frazionato, tagliuzzato a più riprese, narrativamente frammentato come le storie d’amore e di odio dei protagonisti, la Negri tenta di raccontare i trentenni di oggi: delusi, isterici, privi di un punto di riferimento. Lo fa attraverso la buona anche se non impeccabile prova dei due attori (il troppo accademico Marco Foschi; Alba Rohrwacher fin troppo simile alla Buy) e soprattutto attraverso il tratteggio a tinte fosche se non disperate di un’umanità giovane eppure allo sbando. “Vecchi adolescenti”, per usare il termine coniato da una delle amiche della protagonista, incapaci di vivere con serietà e responsabilità le continue mareggiate della vita; inadeguati di fronte alle scelte fatte in precedenza (nel film c’è di mezzo anche un figlio piccolo); impossibilitati nel mantenere quelle promesse tanto poetiche ed fiammeggianti all’inizio quanto effimere. È la vita “liquida” di oggi, ci dice la regista, di chi non è più capace di legami per condizionamenti della società e dei costumi, e anche – aggiungiamo noi – per la mancanza di veri punti di riferimento saldi. È la società della tristezza, dove tutti fingono di interpretare una parte che non vogliono, dove tutti indossano una maschera di menzogna, dove l’amico, incapace di un giudizio di spessore, è una semplice spalla su cui piangere o un corpo con cui “sballarsi” per dimenticare e dove la famiglia è solo il retaggio di un passato assolutamente ininfluente e dove il figlio, quando va bene, mette solo tenerezza. È la società di oggi. La società della crescita zero, del lavoro che manca, del matrimonio che scoppia e della speranza che semplicemente e senza troppo rumore, muore.,Simone Fortunato