Un geometra che, dopo mille passi falsi (sfortune, sostiene lui), è costretto a fare il carpentiere in un cantiere edile, si divide tra la famiglia sopra le righe e l’amante, che lo incontra di nascosto da un marito-padrone. Lei sognava di fare la cantante, ma ha dovuto accettare lavori umili per tirar su due figli, e finire poi a far la cameriera nel ristorante del nuovo compagno. Per Sergio e Sabrina il presente è solo sognare una via di fuga. Che sembra avverarsi quando lui vince con tre milioni alla lotteria: entrambi lasciano lavoro e coniugi, si prendono i figli (e la madre di lui) e si apprestano a partire per una nuova e spensierata vita. Ma proprio al momento di partire, lui scopre che le cose sono andate ben diversamente. Che fare? Dove andare, senza casa e senza un soldo?
Sergio Castellitto e Sabrina Ferilli – che mantengono i rispettivi nomi propri – recitano per la prima insieme in questa commedia dei nostri giorni che guarda agli esempi del passato, tra caratteri forti e sopra le righe, parlata fortemente romanesca (con innesti di altre inflessioni) e battute che risentono dei temi della contemporaneità. Qui, ovviamente, la crisi e la precarietà che rendono tutti – anche i bambini – attaccati ai soldi. Francesco Miccichè e il cosceneggiatore Fabio Bonifacci ce la mettono tutta per rinfrescare i fasti del passato, ma forse è ora di fare da sé senza imitare modelli irraggiungibili ( ci sono cascati anche altri negli ultimi mesi, come Daniele Luchetti con Io sono Tempesta), che pescavano in un diverso momento storico, culturale e cinematografico. Se l’idea della falsa vincita causa scherzo non è inedita (la vetta, nel campo italico, rimane un episodio di Eccezzziunale veramente di Carlo Vanzina, 1982), l’idea di fondo è in una delle battute iniziali: «La tristezza è un lusso da ricchi; chi sta nella m…. deve ridere». Ma ritmo, battute e trovate (lei che canta canzoni fasciste per i clienti del ristorante, ad uso di gruppi di “camerati”) non si amalgamano bene, non solo perché spesso slegate in sé, ma perché una per una funzionavano forse sulla carta, ma vengono quasi sempre rese male pur da un gruppo di bravi attori. Come la tristissima scena, nella villa al mare, in cui tutti si travestono per sembrare ricchi e spregiudicati negli affari (già vista molto simile anche questa in altri film) che poi finisce in rissa quando la coppia di ricchi veri (Antonio Catania e Antonietta Attili) mangia la foglia.
I due protagonisti sono in teoria il pregio – i loro personaggi sembrano davvero scritti sui due interpreti – ma anche il limite dell’operazione: Castellitto fa ormai quasi sempre la solita parte del “simpatico” cialtrone, mentre la Ferilli sconta anni di “cure” che le hanno rovinato la faccia e frenato la verve. Ma anche gli altri caratteri sono mal definiti, costringendo i rispettivi attori a fare i salti mortali per renderli credibili (come Matilde Gioli, che fa una ragazza madre reduce da anni in giro per il modo con le onlus, sempre sorridente e unica disinteressata a soldi e benessere); spesso le fandonie che Sergio dice a tutti sono così mal costruite che si stenta a credere che qualcuno possa cascarci (compreso l’ex datore di lavoro, che pure non sembra un ingenuo). E il finale che, dopo mille disavventure, aggiusta tutto è davvero troppo facile. Cancellando in un colpo – come spesso avviene con le commedie contemporanee che, come detto, vorrebbero seguire i fasti di quelle graffianti del passato – tutti i buoni propositi per finire apparentemente “in gloria”, in realtà con un finale davvero modesto in cui tutti cantano “Su di noi” di Pupo… Ma la modestia del film si è visto ben prima: una commedia in cui tutti si agitano molto per far ridere il pubblico, ma in cui ciò avviene raramente, non può dirsi molto felice.
Antonio Autieri