Richard è un giovane inglese ma già esperto “lupo di mare”, uno skipper che viaggia in solitaria per gli Oceani, per mestiere e per passione. Incontra, in una sosta, la ancor più giovane e bella Tami, americana inquieta e di spirito avventuroso. Si piacciono subito, si confidano tanto le reciproche sofferenze, si scambiano la passione per la libertà. E iniziano a viaggiare insieme, ma la rotta prevista subisce un cambiamento quando un’anziana coppia di conoscenti chiede a Richard di riportare la loro imbarcazione da Tahiti a San Diego, in California, per un compenso di 10.000 dollari. La libertà costa, e quindi Richard convince Tami a fare il “lavoro”, per poi proseguire nella mèta prevista. Ma nell’Oceano Pacifico verranno sorpresi da un terribile uragano, con la barca alla deriva e lontani da ogni possibile attracco. Le loro condizioni si fanno di giorno in giorno più precarie: resisteranno alla fame, alla sete, al rischio di impazzire da soli in mezzo al mare, sperando nel soccorso di qualcuno?
Ennesimo film di argomento simile (ma spesso molto diversi, come All is Lost con Robert Redford, coraggiosissimo – anche troppo – in quanto completamente senza parole), Resta con me cala in fretta la sua carta più importante in un incipit che risulta inizialmente di difficile comprensione. Poi si ripercorre la canonica vicenda dell’amore a prima vista tra due anime con grandi affinità elettive (con la difficoltà di veder recitare la brava e talentuosa Shailene Woodley con il più stereotipato Sam Claflin, che funzionava meglio quando interpretava personaggi spregevoli come in Posh…). Infine, la tempesta che spazza via la barca e rischia di far morire i due protagonisti. E un colpo di scena che a posteriori risulterà “già visto” (ma non diremo di più), ma che lì per lì convince e risulta credibile, e fedele alla storia da cui è tratto raccontata nel libro Red Sky in Mourning: A True Story of Love, Loss, and Survival at Sea scritto dalla vera Tami Oldham Ashcraft.
I difetti non mancano in un film per molti versi poco originale, anche quando alza i toni (molto) spettacolari con la – appunto – ennesima “tempesta perfetta” cinematografica. Ma anche i pregi non sono da sottovalutare, a cominciare dalla prova di Shailene Woodley (lanciata prima da serie tv, poi dal bellissimo Paradiso amaro dove era la figlia di George Clooney e definitivamente da Colpa delle stelle) che sicuramente merita film più importanti di questo per crescere, ma che già adesso sembra artisticamente una “sorella minore” (ma ha solo un anno in meno) della star Jennifer Lawrence di cui potrebbe ripercorrere successi e riconoscimenti. Ma anche sulla sostanza, alla fine, qualcosa rimane: ovvio, il film si indirizza ai teen ager – ma può piacere anche a spettatori più attenpati… – e soprattutto a un pubblico femminile che possa palpitare per un’altra storia d’amore sfortunata (dopo i tanti film con malattie terminali, si torna alle catastrofe naturali: peraltro il regista islandese Baltasar Kormákur aveva già dato con il precedente Everest). Ma i dialoghi tra i due personaggi fanno affiorare lo sforzo di una certa serietà: all’idillio un po’ stucchevole della prima parte, segue il disperato sforzo di una donna di tener in vita il suo amato e di resistere lei stessa alla morte, in una lotta con il destino anche questa non inedita, su diversi fronti cinematografici, ma che è resa con onesto mestiere e non senza tocchi azzeccati, tra ricordi del passato e attenzione reciproca (in flashback). Alla fine rimane la storia di una ragazza coraggiosa e tenace, che si aggrappa alla vita e alla speranza e che nella prova capisce finalmente chi è e quali sono le sue risorse più profonde. C’è di peggio in giro, ci si può accontentare; e a tratti, forse, anche emozionare.
Antonio Autieri