La vita degli artisti è spesso complicata, a volte confusionaria; difficile in un film che cerchi di dare un ordine riuscire a riportare tante cose disparate in un alveo che ha tempi e modi precisi. Il cinema ci prova comunque, e spesso con esiti interessanti come in Ray su Ray Charles, Walk the Line su Johnny Cash o Get On Up su James Brown.

Respect, diretto da Liesl Tommy, affronta la lunghissima carriera di Aretha Franklin e lo fa riuscendo a mantenersi a una certa distanza dalla semplice celebrazione del mito. Compito non facile, dato che la protagonista del film (ottimamente interpretata da Jennifer Hudson) è stata praticamente canonizzata ancora in vita, raffigurata come una sorta di divinità più che una donna in carne e ossa, sola capace di rappresentare il bello e il vero della musica pop americana. Ma Respect, specie quando descrive i primi e non facili anni della convivenza conflittuale col padre (il pastore battista C.L. Franklin, le cui sfumature autoritarie e violente son ben rappresentate da Forest Whitaker), tiene Aretha ben salda a terra. Aretha viene presentata come un talento singolare fin dalla tenera età, la vediamo per la prima volta all’età di 10 anni (interpretata da Skye Dakota Turner) mentre esegue una melodia jazz in una delle chiassose feste in casa del padre, che però ha impiegato diversi anni per capire chi è veramente. Questo perché il suo sviluppo come artista e come persona è stato manipolato da uomini: prima da suo padre, che l’ha costretta a registrare brani pop e jazz senza un’anima e che mal si adattavano al suo talento vocale, poi dal suo primo marito e manager, Ted White (Marlon Wayans), la cui gelosia ha rischiato più volte di far deragliare la sua carriera (la sceneggiatura di Tracey Scott Wilson delinea in modo intelligente il tentativo di Aretha di liberarsi dalla politica di rispettabilità prepotente del padre che la getta tra le braccia di Ted, il cui stile di vita da truffatore sembra offrirle libertà ma lascia rapidamente il posto alla gelosia e all’abuso).

Se l’interpretazione di Jennifer Hudson delle iconiche esibizioni vocali di Aretha è piena di sentimento, nelle parti non musicali l’attrice è altrettanto impressionante, specie se paragonata agli standard della maggior parte dei protagonisti biografici. La capacità risiede maggiormente nel trasmettere il senso di insicurezza (basti vedere le scene di dipendenza dall’alcol) che contrasta con l’immagine stereotipata di Aretha come una prima donna sicura di sé al limite della sfacciataggine.

Il film rappresenta una valida testimonianza di Aretha non solo come grande cantante, ma anche come una consumata virtuosa musicale, con una comprensione intuitiva della struttura e dell’anima dell’R&B e del gospel. Le scene di Aretha che elabora brani come “Respect” e “I Never Loved a Man (The Way I Love You)” con i session men ai FAME Studios di Muscle Shoals in Alabama, mostrano una forza creativa stupefacente, abile nel prendere una melodia scritta da qualcun altro e facendola completamente sua. A differenza di sequenze simili in Bohemian Rhapsody, che trasformano le curiosità sulle sessioni di registrazione in piccole e simpatiche gag, Respect ci immerge davvero nel processo creativo.

C’è una vivacità in queste scene che però purtroppo manca spesso a gran parte del resto del film. Nonostante tutti i suoi tentativi di aggiungere sfumature, Respect dà sempre l’idea di voler fare troppo, come dimostrano le scene in cui i personaggi si urlano l’un l’altro discorsi carichi di risentimento in vistosi tentativi di colmare le lacune sulla complicata vita di Aretha. Il film tocca il coinvolgimento di Aretha nei diritti civili, il rapporto teso con i figli, lo stupro e la gravidanza all’età di 12 anni, ma non fa molto più che elencarli. In certi momenti è difficile non pensare che il film stia semplicemente scorrendo una serie di date sul calendario, specie nelle scene in cui la Hudson non è occupata a cantare; ma quando lo è, come nella imponente interpretazione di “Amazing Grace” che chiude il film, l’effetto è assolutamente trascinante, e la voce di Aretha dalla terra si alza veramente alta nel cielo.

Beppe Musicco

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