Mediocrissimo esordio alla regia dello sceneggiatore inglese Steven Knight, autore degli script di grandi film come Piccoli affari sporchi e La promessa dell'assassino. Il film si presenta come un prodotto ben confezionato e illuminato dalla fotografia di Chris Menges che riesce con pochi accorgimenti (colori scuri, poca illuminazione, uso intelligente degli spazi) a rendere quel senso di claustrofobia e paranoia che dovrebbe essere il cuore del film. Al centro infatti c'è la vicenda di Joey (un Jason Statham efficace e brutale): ex militare inglese che, in preda a rimorsi dopo un'operazione di guerra finita male, se la cava malissimo vivendo per le strade di Soho in una scatola di cartone, in mezzo a tanti altri barboni. Poi le svolte, e qui iniziano i dolori: dapprima il rapporto sempre più stringente con una suora polacca in crisi d'identità pure lei; poi la svolta poco credibile della seconda vita di Joey che si mette a fare lo sgherro per una boss cinese, picchia e ammazza un sacco di poveri cristi, immigrati italiani compresi, per guadagnare un po' di soldi da dare ai suoi ex compagni di strada. Un altro giro a 360° e il film diventa un revenge movie dei più crudi e improbabili con il nostro eroe a caccia di un tizio della city in giacca e cravatta e con una cicatrice sul sopracciglio colpevole di aver massacrato di botte una sua amica di strada. Seguiranno altre giravolte che non riveliamo ma che riguarderanno la suora, la famiglia di lui e il suo passato che pian piano affiora. Che uno sceneggiatore attento e preciso come Knight sia caduto in un pastrocchio del genere è davvero un mistero. Vero è che sceneggiatura e regia spesso viaggiano su binari paralleli e non necessariamente chi è bravo ha un buon occhio sia anche in grado di scrivere una storia e viceversa ma qui, al di là di alcune ingenuità di messa in scena come i flash back di Joey (realizzati in modo piatto e con pochissimo senso dell'azione), a mancare è proprio il cuore di una vicenda che già dopo pochi minuti prende troppe strade tutte improbabili e impossibili da fondere. Non fosse per la solita tosta interpretazione di Statham, secondo noi buon attore fisico ma non solo e che meriterebbe la chance di ruoli più importanti, Redemption sarebbe del tutto indigesto. A cominciare dai personaggi caratterizzati in modo piatto, dai cattivi brutti, stupidi e senza speranze che seminano il panico tra gli immigrati e i senzatetto al più cattivo di tutti, il killer delle ragazze, che in realtà alla prova dei fatti si rivela pochissima cosa in termini di personaggio e di tensione pura; ma è deludente anche la descrizione dei sobborghi di Londra, dell''altra' Londra, quella degli immigrati che Knight nei film precedenti aveva raccontato con grande realismo e partecipazione emotiva e che qui invece rappresenta in modo banale e già visto, fino ad arrivare alla cosa peggiore del film, quel personaggio strampalato e inverosimile di Suor Christina, all'inizio intrigante per l'ambiguità del suo rapporto con il protagonista e poi clamorosamente fuori fuoco nel momento in cui viene tirata dentro la vicenda della ragazza assassinata: un po' 007 in abito ecclesiastico, un po' (troppo) mondana: a un certo punto aleggiano pure i fantasmi del passato di lei che avrebbe tanto voluto fare la ballerina. Poca roba, insomma: né un onesto, magari un po' violento film di serie B e nemmeno un grosso affresco sui figli di nessuno, gli immigrati perduti delle metropoli europee.,Simone Fortunato