Incipit molto efficace: Checco Zalone, con una guida locale, si trova nel cuore dell’Africa quando l’auto ha un guasto. Sorpreso da una pericolosa tribù di indigeni cui hanno “violato” la terra, per salvare la pelle dall’ira del loro capo è costretto a raccontare la sua storia. Checco è un impiegato pubblico, all’ufficio provinciale Caccia e pesca: già da bambino, sull’esempio del padre, sognava il posto fisso nello Stato e i suoi privilegi, e grazie alla raccomandazione del potente politico locale (un Lino Banfi perfetto) ce l’ha fatta. Ma l’eliminazione delle province lo mette a rischio: lo Stato gli propone, come a tanti altri, una buonuscita per alleggerire la pubblica amministrazione del suo costo; lui invece non molla e accetta ogni destinazione, pur lontana dall’amata sede (fantastico lo spostamento in bicicletta casa-ufficio), dall’amata Puglia, dall’amata mamma… E se ogni angolo d’Italia non basta a farlo desistere, arriva la drastica soluzione di una base scientifica al Polo Nord, dove dovrà difendere i ricercatori dagli orsi polari: sembra la sua disfatta, ma quando incontra Valeria anche quel luogo disagevole diventa il Paradiso… Ma le sue disavventure e le sorprese inaspettate non sono certo finite.
Quo vado?, quarto film con Checco Zalone ancora in coppia con il fedele regista Gennaro Nunziante, arriva dopo i trionfi crescenti dei precedenti Cado dalle nubi, Che bella giornata e Sole a catinelle (record assoluto di incassi per un film italiano). Anche stavolta si ride e parecchio: soprattutto, e ancor più che nei tre film precedenti, le gag sono sempre inserite nella costruzione dei personaggi e nella storia; non si punta mai su tutti quei trucchi comici (cadute, scivoloni, colpi in testa, incidenti e malanni intestinali…) che sono frutto di astuzia e pigrizia degli autori di tanti film grossolani e spesso volgari. Non che “Checco” venga da Oxford: non mancano le amate parolacce – che però la star pugliese dice sempre con un candore e una leggerezza ad altri sconosciuta – e neppure allusioni sessuali (e in fondo è un peccato: depurati di alcuni elementi, i suoi film potrebbero essere per tutta la famiglia). Ma gli affondi umoristici, che pure non sono mai moralistici e soprattutto mai a senso unico, colpiscono nel segno: si punta, il dito, con cattiveria “bonaria” (o perfido candore), contro il quarantenne ancora a casa dei genitori ma anche contro la pasionaria ecologista dalle mille relazioni; si irride alla difesa parassitaria del posto fisso ma anche alle manovre spietate della manager senza scrupoli figlia di un “nuovo” sistema politico; si prendono in giro i difetti degli italiani (fantastica la gag dell’extra comunitario accolto a Lampedusa dopo un provino di calcio….) ma non si fanno certo sconti ai “civilissimi” paesi scandinavi (dove Checco cerca, invano, di trasformarsi in cittadino modello), così come gli strali verso certi conservatorismi fanno il paio con pesanti, e consueti, lazzi contro i falsi miti del progresso.
Soprattutto, però, l’obiettivo di Gennaro Nunziante e Luca Medici/Checco Zalone è divertire, con intelligenza e senza banalità. E anche stavolta ci riescono. Poi, come sempre, c’è l’ambizione a presentare un mondo e un modo di vivere più bello, aperto al cambiamento (i personaggi di Checco cambiano sempre), e il finale è molto positivo in questo senso e piacerà a tanti. Forse in questo quarto film gli snodi “seri” sono più scritti e meno semplici, spontanei, emozionanti (in Che bella giornata emozionava il finale sorprendente della storia d’amore con la giovane musulmana, in Sole a catinelle il rapporto con il figlio). Ma forse siamo stati abituati troppo bene. Sicuramente anche stavolta qualcuno dirà che si passa da una prima parte irriverente e “scorretta” a un finale buonista: un’altra banalità, Checco non è buonista; è un perfido che diventa buono. Perché gli autori cercano di proporre qualcosa di buono nelle storie che raccontano. Oltre tutto, con una sottolineatura sulla parola educazione che sorprende.
È cinema quello di Checco Zalone o qualcosa di diverso come sostiene chi non sopporta i suoi enormi successi? A nostro parere non ha senso fare le pulci a Luca Medici e snobbarlo (ma pure gli intellettuali e i critici, film dopo film, lo stanno scoprendo e apprezzando). Come insegnava il grande Roger Ebert, ogni film va collocato nel suo contesto e confrontato all’interno del suo genere. Questo spiega i voti ai suoi film, per noi sempre altissimi: nel genere comico, la coppia Nunziante-Medici sforna dal 2009 film di altissimo livello, difficilmente paragonabili agli altri comici nazionali recenti. Negli ultimi vent’anni pochi film (i primi film di Aldo Giovanni e Giacomo, Il ciclone di Leonardo Pieraccioni; Verdone il meglio lo ha dato in passato e Albanese al cinema non ha mai mantenuto le promesse del comico che era in tv) gli si possono confrontare. Ma i suoi modelli e confronti sono altri, nel passato. Nel film si cita Celentano (nella canzone “La prima Repubblica”), nelle dichiarazioni di produttore e autori si allude – con enorme rispetto e modestia – alla commedia di Alberto Sordi e altri cavalli della commedia d’oro. A noi il comico pugliese, sin dal fatto di aderire sempre e comunque alla sua maschera di Checco Zalone, ricorda un moderno Totò. Cui non si dovevano chiedere capolavori, ma film molto divertenti e anche in grado di rimanere nel tempo nel suo genere: a differenza di cinepanettoni e altri rivali, i suoi film si potranno rivedere negli anni.
Antonio Autieri