In un futuro vicino ma che pare apocalittico, una famiglia si aggira per ambienti e luoghi abbandonati: i due genitori e i tre figli cercano di non fare il benché minimo rumore, per non attirare – si intuisce – minacciose presenze che incombono. Ce la faranno?

È davvero obbligatorio dire il meno possibile e mettere le mani avanti fin dall’inizio di fronte a A Quiet PlaceUn posto tranquillo, terzo film da regista dell’attore John Krasinski (tra i suoi film da protagonista da citare American Life), qui anche nei panni del capo famiglia; mentre la consorte e madre dei loro figli è davvero sua moglie, l’ottima – e più famosa – Emily Blunt. Finora dietro la macchina da presa Krasinski non aveva impressionato particolarmente, con due film indipendenti da Sundance Film Festival (il secondo ovvero The Hollars, commedia su una classica famiglia un po’ sopra le righe e messa alla stretta da una malattia, era passato al festival di Roma) in cui brillava soprattutto il lavoro con i colleghi attori e un certa brillantezza di dialoghi. In questo terzo, notevolissimo film, i dialoghi invece scompaiono praticamente del tutto: A Quiet Place è quasi un film muto, in cui i personaggi si limitano a bisbigliare o a dialogare con il linguaggio dei segni (anche perché una dei figli è sorda); e in cui i rumori, e perfino il silenzio (e quindi gli sguardi invece delle parole), giocano un ruolo decisivo nel costruire la tensione, la paura, i momenti di svolta fin dal terribile preambolo.

Poi la storia sembra assestarsi, qualche tempo dopo (il calendario è scansito dai giorni: e ne sono passati oltre un centinaio), ma la paura rimane sotto traccia nei rituali del vivere e del sopravvivere  in un bunker riparato, in cui però c’è spazio per l’amore fra i componenti della famiglia, per il gioco, perfino per l’ironia (la moglie che “dice” al marito di sentirsi grassa, perché aspetta un altro bambino…). Un bunker dal quale però ogni tanto bisogna pur uscire.

La paura e l’amore: ecco, sono questi i due sentimenti predominanti. Ed è raro che un film di “genere”, tra l’horror apocalittico e il thriller, abbondi così tanto in sentimenti forti e profondi, ancestrali e indistruttibili. Quelli che tengono legati un marito e una moglie, un padre o una madre ai suoi figli, che permette a ognuno di pensare agli altri prima che a se stesso e di escogitare soluzioni coraggiose o ingegnose (i continui esperimenti del padre per un apparecchio acustico più sofisticato per la figlia).

È evidente che un film simile si rivolge a un pubblico che non si fa problemi di fronte a un buon numero di spaventi. Che a tratti possono sembrare crudeli o sadici, anche se sono meno violenti di film ben più truculenti e sanguinari. Ma non sono affatto gratuiti, e sono tanto più veri e realistici perché pescano nelle paure di chiunque: chi non si preoccupa per il bene dei propri cari, chi non ha mai avuto paura per loro? Ma A Quiet PlaceUn posto tranquillo, che rivela un notevole talento da regista di Krasinski (cosceneggiatore del film insieme a Bryan Woods e Scott Beck, entrambi finora rimasti confinati nel thriller), potrebbe selezionare ulteriormente la sua platea non trovando disponibilità in chi al cinema non vuole soffrire. Oppure no: potrebbe essere amato da chi cerca film sorprendenti, che si stacchino nettamente dal già visto, partendo da echi diversissimi (si può dire che ci ha ricordato The Road e Alien al tempo stesso? Ma potremmo citare decine di titoli) e trovando una strada originale. Risultando nuovo, a dir poco geniale e in certi momenti commovente fino allo strazio. Ma – miracolo! – facendoti uscire dal cinema con una sorprendente fiducia nel genere umano, che quando riscopre chi è può tirar fuori il meglio di sé.

Antonio Autieri