Eduardo Scarpetta è stato uno dei nomi più importanti del teatro italiano di fine Ottocento e inizio Novecento. Rinnovatore della commedia dialettale napoletana, è passato alla storia perché, tra i suoi numerosi figli non riconosciuti, c’erano anche i fratelli Eduardo, Titina e Peppino De Filippo (quest’ultimo cresciuto fino a una certa età in un’altra famiglia, e poi richiamato ed avviato alla carriera teatrale, come i fratelli maggiori), a loro volta personaggi indimenticabili del teatro e del cinema italiano.
Il film di Mario Martone traccia un affresco colorito e opulento della famiglia Scarpetta: attorno al grande attore (interpretato da Toni Servillo), ci sono la moglie, le amanti, le attrici e gli attori della compagnia, e tutto il fedele personale di servizio: una vera e propria industria dello spettacolo (Scarpetta aveva anche un suo teatro a Napoli, dove metteva in scena le sue opere). Il suo carisma e le sue capacità permettevano anche che i vari figli e le amanti dell’attore vivessero tutti nei dintorni dello stesso lussuoso palazzo che aveva fatto edificare al Vomero (si dice con gli incassi di una sola commedia) e chiamato provocatoriamente “Qui rido io”.
Martone mostra anche come gli inizi del ‘900 evidenzino i problemi dettati dall’avvento di grandi novità: il desiderio del figlio Vincenzo (interpretato dal giovane Eduardo Scarpetta, pronipote dell’attore) di iniziare una carriera cinematografica, l’abbandono della sua spalla storica (Gianfelice Imparato) che va a lavorare per un’altra compagnia, le domande che iniziano a porsi i figli illegittimi diventando grandi, ma soprattutto la causa intentata da Gabriele D’Annunzio per la parodia di Scarpetta del suo dramma teatrale “La figlia di Iorio” e rinominato “Il figlio di Iorio”, che si trascinerà per ben tre anni tra alterne vicende, implicando tutti i grandi nomi della poesia, del teatro e anche della canzone napoletana, fino a coinvolgere uno dei più grandi filosofi del tempo, Benedetto Croce, che si schiererà a favore di Scarpetta.
Qui rido io, grazie a un cast che lavora all’unisono, alle splendide scenografie, alla ricostruzione minuziosa degli ambienti del tempo, è un grandioso omaggio di Mario Martone all’arte teatrale e alla tradizione napoletana, con la sua grandezza e le sue contraddizioni, e che soprattutto permette di comprendere le radici della famiglia De Filippo e del suo contributo al teatro e a tutto lo spettacolo del ’900.
Beppe Musicco