Forse ispirati dal successo di Across the Universe (storia d’amore sessantottina al ritmo dei Beatles) e dal rinnovato successo dei teen movies di produzione italiana e straniera, anche i produttori italiani provano a sbancare il botteghino ispirandosi al titolo della canzone più famosa di Baglioni, inno intergenerazionale alla cotta adolescenziale con dalle infelici prospettive.,Il risultato è deludente anche per un’operazione commerciale da San Valentino. La vicenda segue spesso in modo imbarazzantemente didascalico (verso musicale-inquadratura, fino a mettere in bocca ai protagonisti l’immortale “Ti amo davvero, ti amo lo giuro”) le canzoni del cantautore romano tra nascita e fine di un amore, ma la materia narrativa è veramente modesta, sia come quantità che come livello. La rappresentazione della Roma della contestazione a dir poco semplificata, nei toni pastello che una certa retorica radical chic, priva ormai da vent’anni del riferimento politico comunista, ha rielaborato a uso e consumo del consumismo culturale contemporaneo. Le manifestazioni sono contro il nucleare, per costruire un mondo di pace e di amore (non si vede un libretto rosso e una falce e martello; la polizia, in stile dittatura sudamericana, carica gratuitamente una mandria di hippy danzanti per pura volontà di sopraffazione), la partenza per il militare è dipinta con i tratti apocalittici della spedizione di una recluta in Vietnam, la descrizione della famiglia borghese un cliché codificato di ipocrisia e conformismo, la borgata racchiusa in quello del poveri ma buoni dalle aspirazioni confuse ma comunque colorate e positive. Tutto questo, come pure la retorica ipercolorata della magia del primo amore, del suo assoluto fragile ed egoista, sarebbe anche comprensibile, se non proprio originale. Che questi amori, per loro stessa natura, siano spesso destinati a durare lo spazio di un anno o di un’estate è cosa nota. E tuttavia, come dimostrano alcuni piccoli cult generazionali, come Dirty dancing, la forza dei film per teenager, anche di quelli più commerciali, è nella loro qualità di bildungsroman, cioè nella capacità di rappresentare il passaggio all’età adulta e con una maggiore consapevolezza della realtà e del mondo. Nella Roma anni settanta di QPGA (da Tre metri sopra il cielo in poi l’acronimo è d’obbligo), invece, non solo l’amore nasce e finisce senza un senso e una vera ragione, ma il finale, in ossequio al cinismo ormai imperante nella cultura italiana, cinematografica e non, si sente in dovere di svelare l’illusione dietro la magia effimera del sentimento. A decretare la morte dell’amore non sono gli equivoci e la lontananza imposta da un ufficiale sadico che nemmeno Full Metal Jacket, ma l’autoconsunzione inevitabile del sentimento. Andrea e Giulia, ormai lontani, ritornano sul Lungotevere dove il loro primo bacio era stato gloriosamente celebrato da coppie danzanti e fuochi d’artificio, e si rendono conto che la scritta che celebrava l’unicità della loro esperienza è contornata e superata da quelle di tanti altri, mentre un’altra coppia scende le scale ripetendo le loro stesse parole. In fondo (non è un caso che Ivan Cotroneo sia la penna dietro entrambe le pellicole) il musicarello baglioniano non è altro che la riproposizione in toni pastello della stessa triste e nichilista filosofia dei sentimenti de L’uomo che ama : il sentimento è assoluto, ma un assoluto effimero, la cui fuggevolezza non ha la pretesa di insegnare nulla, perché perso in una ciclicità senza senso.,Laura Cotta Ramosino