Un exploit interessante della nostra cinematografia sommersa: con pochissimi mezzi, e con il coinvolgimento di attori semi dilettanti e di alcuni volti emergenti del nostro cinema e della nostra tivù (come la Costantini, già vista in Boris o il grande Paolo Sassanelli de Lacapagira), Francesco Falaschi ha diretto una commedia leggera e piacevole, senza grandi pretese ma con alcuni numeri in più rispetto alle prove di alcuni professionisti navigati. I temi sono quelli su cui il nostro cinema “di Serie A” ha insistito negli anni Zero (il precariato, il conflitto generazionale, il grado di solidità delle storie d’amore…), su cui però Falaschi e i suoi sceneggiatori (Filippo Bologna e Stefano Ruzzante) dimostrano di avere qualche argomento in più. Dei quattro amici al bar che bevono insieme l’ultima birra prima di dire addio alla scuola, infatti, uno rivela di voler entrare in seminario e non – come crede uno degli altri – perché ha trovato la serenità ma perché vuole continuare a cercarla (che è un po’ come dire: non perché ho trovato Dio ma perché voglio continuare a cercarlo). I genitori del protagonista, con cui il ragazzo ha un rapporto problematico, non smettono di essere per lui un punto di riferimento irrinunciabile. Matteo (questo è il nome del ragazzo) conosce i difetti di suo padre e sua madre, ma non lascia che questi limiti siano per il rapporto con loro una barriera invalicabile. Anziché rifiutarli o pretenderne irrealmente la perfezione, Matteo desidera con i suoi, semplicemente, il migliore rapporto possibile. Anche la tribolata storia d’amore tra il protagonista e la sua bella è condotta con intelligenza: merito del processo di scrittura che ha costruito personaggi a tre dimensioni molto realistici. Insomma, un tentativo di descrivere la generazione degli adolescenti che si affacciano alla vita adulta molto meno banale dei vari “Notte prima degli esami” (che spesso hanno riciclato luoghi comuni con una dose di ingiustificato cinismo). Un film che, pur senza volare altissimo (non mancano neanche qui le cadute di stile e le battute a vuoto…), cerca di dire cose interessanti su una generazione e sui “tempi che corrono”, senza farsi rodere dalla disillusione. Non è poco.,Raffaele Chiarulli