Terzo film da regista per Richard Curtis, una vita da sceneggiatore di tanti film leggeri, dalle gag con protagonista Mr Bean a cult generazionali come Notthing Hill e Quattro matrimoni e un funerale. Con Questione di tempo, che scrive e dirige, firma senz’altro il suo film più complesso e

La storia riprende il canovaccio della più classica delle commedie sentimentali: il rosso Tim (interpretato da un magnifico Domhnall Gleeson, figlio del grande attore Brendan) vive con la sua bizzarra famiglia in Cornovaglia: la sorella Kit Kat, un po’ fuori di testa, uno zio stralunato e una coppia di genitori che, ancora dopo tanto tempo, appaiono innamorati e uniti. Tim è goffo, si sente sempre inadeguato: con le ragazze e anche con gli amici è un mezzo disastro almeno fino alla svolta che gli cambierà sempre la vita. Il giorno del suo ventunesimo compleanno, il padre (un grande, intenso Bill Nighy) gli rivela un segreto che da generazioni interessa solo i figli maschi della loro famiglia, ovvero il potere e la capacità di andare indietro nel tempo e di rivivere così tutte le situazioni della propria vita e poterle modificare. Il ragazzo, dopo i primi dubbi, prova lo strano potere (la questione è semplice: basta chiudersi in un armadio, stringere i pugni e pensare a quale punto rivivere della propria vita) e il miracolo avviene: ecco così ripercorrere tanti momenti, evitare gaffe, avere seconde chance per conquistare le ragazze fino a un’altra svolta fondamentale e che non riveleremo.

Film colto, fantasioso e ben costruito. I meriti sono da dividersi in parti uguali: da un lato un cast di attori eccezionalmente in parte: Gleeson è un vero fenomeno e il feeling con Rachel MacAdams è perfetto anche per una prova sicura e sotto le righe della giovane attrice canadese, finora icona di un certo cinema disimpegnato e leggero e qui finalmente alle prese con un ruolo ben scritto e strutturato. Ma è tutto il cast a girare bene. Bill Nighy, nella parte fondamentale di un padre commosso compagno e partecipe delle avventure del figlio, si conferma come uno degli attori più versatili della sua generazione. E poi le tante spalle: Tom Hollander nei panni di un drammaturgo sull’orlo di una crisi di nervi, Richard Cordery, Lidya Wilson e Lidsay Duncan in quelli rispettivamente dello zio, della sorella e della madre del protagonista.

Tanto merito va però anche a Curtis che, almeno per chi scrive, non è mai sembrato autore di livello ma semplice esecutore di commedie più o meno riuscite. E invece qui centra il bersaglio a partire da un’idea semplice trattata con grande profondità e che, a costo di rivelare qualche passaggio narrativo, vale la pena mettere in evidenza: Tim infatti torna indietro nel tempo e può farlo solo per la propria vita; come gli ricorda il padre, non può certo ammazzare Hitler o passare una notte focosa con Elena di Troia. Questo costringe il ragazzo – letteralmente – a fare i conti con il proprio passato e giudicare la propria esistenza. All’inizio è tutto un gioco, o quasi. Tim fa il furbo: ci prova con un’amica bellona della sorella e si costruisce tante occasioni per conquistarla. Poi però, quando la realtà si fa più stringente e Tim si innamora davvero della bella Mary (Rachel MacAdams), questo strano potere è usato in modo diverso. Non solo per correggere i propri sbagli (e per fuggire da se stessi) ma per gustare di più, rendere “infiniti” i momenti più belli di un’intera vita insieme: il primo incontro, il matrimonio, i figli che arrivano e pure numerosi. Sostenuto dalla figura tenera ma sempre vicina e partecipe del padre, che come il figlio ha lo stesso potere che ha imparato a usare per gustarsi momenti unici o per darsi semplicemente più tempo (ad esempio nella lettura di Dickens, di cui è grande appassionato), il ragazzo impara nel tempo ad usare il suo potere non egoisticamente come fuga dai propri errori ma come dono per gli altri quando appaiono in difficoltà. Il che lo porta a una certezza: che il viaggio più grande e più bello è proprio quello in un presente da gustare e vivere come se fosse l’ultimo.

Più profondo di Sliding Doors che in alcuni momenti appare simile anche per il mix tra commedia e drammatica, Questione di tempo è un film sorprendente non solo per la positività di fondo della storia (per cui tutto, ma davvero tutto, anche i momenti più drammatici è occasione per crescere come uomini), ma anche per la semplicità di una metafora – quella dei viaggi nel tempo che possono essere letti in chiave di veri e propri ricordi – che è davvero la questione della vita. Imparare, anche a partire dai propri errori, a vivere con intensità e senza distrazioni ogni momento della giornata perché, come racconta la voce fuori campo di Tim, “il vero motore dell’azione è l’amore” inteso non in termini di puro sentimento ma come servizio all’altro, gratuito e nobile.

Simone Fortunato