Sequel del bel Molto incinta (2007) ancora firmato da Judd Apatow. In realtà non è proprio un sequel questo quarto film del regista newyorchese di 40 anni vergine ma una sorta di spin-off con protagonista la coppia formata dai bravi Paul Rudd e Leslie Mann che nel film del 2007 interpretavano rispettivamente cognato e sorella della protagonista, Katherine Heigl, alle prese con una gravidanza non proprio desiderata. Qui il tema è praticamente lo stesso e la mano di Apatow che dirige, produce e scrive si vede eccome. Lo stile è infatti ben riconoscibile sia dai fan che dai detrattori: i suoi film diretti e sceneggiati (Molto incinta, 40 anni vergine o solo sceneggiati e prodotti come i vari Zohan, Le amiche della sposa, Anno uno e In viaggio con una rockstar ) sono un mix di demenza, stupidaggini, volgarità e scorrettezza a tutto tondo. Ma sarebbe un errore soffermarsi solo agli elementi più appariscenti e – in alcuni casi – fastidiosi: anche Questi sono i 40 non si sottrae alla regola e non mancano le volgarità anche imbarazzanti (i due protagonisti che vengono interrotti durante il sesso dai figli, le sequenze delle visite mediche a cui si sottopongono entrambi). Eppure come Molto incinta, in modo sorprendente, veicolava un contenuto controcorrente e insolito (i due protagonisti decidevano di tenersi il bambino non voluto e imparavano proprio a partire dalla gravidanza indesiderata a volersi bene), così anche Questi sono i 40 porta avanti lo stesso ideale, controcorrente e davvero politicamente scorretto in un contesto cinematografico che spesso dice il contrario della positività della famiglia. Ma andiamo con ordine: Rudd e la Mann (moglie del regista e madre davvero delle due ragazze che nella finzione interpretano le figlie) sono arrivati mestamente alla soglia dei 40. Lei mente continuamente sull'età ed è piuttosto esaurita tra gli impegni del negozio che gestisce con due commesse che si odiano e una vita famigliare agitata dai perenni litigi della figlia adolescente con la sorella più piccola. Rudd, invece, è titolare di una piccola etichetta musicale sull'orlo del fallimento specializzata nella pubblicazione di vecchie glorie che, a quanto pare, non si fila più nessuno (Graham Parker, nel ruolo di se stesso). Come se non bastasse c'è il padre di lui, interpretato da James Brooks che a sessant'anni suonati ha messo al mondo 3 gemelli con una donna più giovane di lui e chiede perennemente soldi al figlio sempre più sommerso dai debiti e da un mutuo pressante. Il padre di lei, John Lithgow, medico affermato, da anni non si fa più vedere e si è rifatto una nuova famiglia. Apatow mette in piedi il suo solito lungo film (due ore e passa) raccontando nei dettagli le difficoltà di una famiglia di fronte a una figlia alle prese con un'adolescenza complicata e, nel contempo, non nascondendo il disagio anche di una vita di coppia in cui la routine spesso prende il sopravvento. È una riflessione seria, in cui con la rappresentazione surreale di visite ginecologiche, colonscopie, esami alla prostata, Apatow ricorda con gusto dello sberleffo la paura di diventare vecchi, malati e quindi il terrore di morire. Con grande realismo, mascherato da una comicità che strappa tante risate e alleggerisce il tono della narrazione, il regista americano mette a fuoco i tanti problemi di una famiglia ma con intelligenza pone anche un punto di svolta positiva attraverso il recupero del rapporto con i nonni, vero centro affettivo mancato, come dire che la vocazione alla famiglia ma anche i guai, la paura di non farcela e il terrore di essere soli passano di padre in figlio, di generazione in generazione. Solo dopo una riconciliazione vera e sincera con chi doveva esserci e invece è scappato, è possibile ripartire, ancora una volta e insieme come ben sottolinea il finale, privo di volgarità e sconcezze e con al centro, semplicemente, una mamma, un papà e il desiderio di essere felici.,Simone Fortunato