Già l’incipit fa capire che ci si ritrova su territori non certo inediti: una voce narrante di ragazza rievoca un’estate carica di promesse che «il tempo non avrebbe mantenuto». La voce narrante è quella di Caterina, che decide di lasciare la cittadina di provincia (volutamente non viene nominata, ma il film è girato a Latina) per trasferirsi a Belgrado grazie ai contatti con un’amica che vive là e per fare la cameriera in un albergo lussuoso. Le sue amiche Liliana, Anna e Angela decidono di accompagnarla, per un viaggio ludico ma soprattutto per farle compagnia – ma Caterina fa la dura e non le vorrebbe tra i piedi – e farsi coraggio. Tutt’e quattro sono confuse per diversi motivi: se Caterina sembra attratta dalle donne e in particolare da Liliana, questa è innamorata del suo professore e scopre di avere una brutta malattia (che nasconde a tutte, e anche alla madre), Angela ha un uomo più grande che non riesce a scaricare e vive a disagio in famiglia, Anna è incinta e insicura su tutto e sembra non stimare più di tanto il giovane fidanzato. Il viaggio sarà – facile intuirlo – occasione di incontri (con giovani serbi che le corteggiano), scontri fra loro, digressioni (una subito in partenza, dal fratello prete di Caterina: figura che intrigante ma anche fumosa e incapace di dare risposte: «Cercavo una regola per essere meglio di me», «non è tempo di miracoli»). Intanto la madre di Liliana – che ha scoperto la malattia della figlia – e il professore fremono in attesa del suo ritorno.
In gara alla Mostra di Venezia 2016, il nuovo film di Giuseppe Piciconi conferma pregi e difetti del suo cinema. Tra i pregi, sicuramente la tenerezza verso i suoi personaggi e la freschezza nel raccontare le ragazze che raffigura con una certa esattezza e abilità nel linguaggio e negli atteggiamenti (grazie anche alle giovani interpreti, ben calate nei personaggi di ragazze incasinate dei nostri tempi). Ma ci sono anche parecchi elementi risaputi: se la confusione e precarietà sentimentale e generale sono temi di stretta attualità, non solo nel mondo giovanile (ma certo questo non è il primo film che mette a fuoco l’argomento, e sicuramente non il più avvincente), l’incertezza delle quattro ragazze si riverbera anche nella debolezza degli sviluppi narrativi. L’accumulo di situazioni, pause, trasalimenti e nervosismi all’inizio possono rendere bene il caos gentile in ognuna di loro; ma alla lunga si traducono in una storia troppo esile per colpire lo spettatore; con l’aggravante di adulti troppo programmaticamente insopportabili (Rubini, padre di una delle ragazze) o immaturi (la madre parrucchiera, incarnata dalla pur brava Margherita Buy, e il professore interpretato da Filippo Timi. E la sovrabbondanza di finali non aiuta, come pure una certa sentenziosità nei dialoghi (e ancor più nella voce narrante). Spiace dirlo di un autore gentile e sensibile come Piccioni: ma anche questo suo nuovo film, per quanto interessante e ben fatto, scivola via senza lasciare traccia.
Antonio Autieri